Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 11/7/2014, 11 luglio 2014
SE I MERCATI TORNANO SULLA TERRA
«Devo cancellare le vacanze?» Dopo la quinta seduta negativa, la domanda più ricorrente nelle sale cambi era proprio questa: siamo alla vigilia di una «capitolazione» prolungata dei mercati come avvenne nel 2008 e nel 2011 (ed è quindi consigliabile cancellare le vacanze), o è solo una pausa di riflessione dopo 3 anni di rally?
La risposta, almeno per ora, è stata fortunatamente univoca: i mercati, sia per ragioni tecniche che congiunturali e geopolitiche, hanno individuato in questa fase il terreno più favorevole per passare dall’esuberanza irrazionale da eccesso di liquidità a un atteggiamento più realistico e sobrio, selettivo, con acquisti e vendite dettati non dalla ricerca ossessiva del rendimento più alto, ma dal giusto bilanciamento tra rischio e guadagno. Razionalità, dunque, contro euforia.
Detta così, la correzione in corso può apparire dunque come un processo salutare: dopo 3 anni di rally globale favorito dagli aiuti delle banche centrali che ha spinto oltre ogni logica le valutazioni dei titoli dall’Asia all’Europa, creando una vera e propria bolla nel mercato obbligazionario e soprattutto dei titoli di Stato dei paesi economicamente meno affidabili come Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, l’avvio di una fase ribassista era non solo logica e auspicabile, ma anche prevedibile. Dietro ai record del Dow Jones e dell’S&P 500, e soprattutto dietro all’impressionante convergenza dei rendimenti tra i titoli di Stato dell’Eurozona, la vera domanda che aleggiava sul mercato non era «se» ritirare parte della posta dal tavolo delle Borse, ma «quando» ritirarla. E il momento migliore è sembrato essere proprio questo: ai dati economici negativi, infatti, si è aggiunto l’imprevisto di una crisi bancaria in Portogallo, quella del Banco Espirito Santo. Anche se nessuno ritiene che un’eventuale bancarotta dell’istituto portoghese non è ritenuta sufficiente per innescare una crisi sistemica in stile Lehman, il solo fatto che una banca di tali dimensioni abbia potuto falsificare i bilanci è stato un vero shock. Dopo anni di promesse e di nuove regole sulla vigilanza bancaria, e soprattutto alla vigilia di un nuovo round di stress test sui bilanci degli istituti, lo spettro di un nuovo scandalo nel credito è tornato ad aleggiare sull’Europa.
Caso portoghese a parte, comunque, dalle conversazioni con gli operatori del mercato, sono emerse almeno quattro ragioni per dare ora il via alla correzione, che in termini tecnici significa un ribasso del 10% dal massimo toccato da un indice nell’arco di 52 settimane. Ebbene, non solo sono oltre 24 mesi che un tale evento non si verifica, il periodo più lungo dal dopo-guerra, ma già nelle ultime 52 sedute il più importante indice del mondo, l’S&P 500, non è andato oltre l’1% di guadagno o l’1% di ribasso: questo movimento, che i tecnici definiscono «laterale», è normalmente indice di incertezza crescente tra gli investitori. Sarebbe stato sufficiente valutare questi due elementi per capire che il vento in poppa sarebbe presto passato a prua, ma la compiacenza – o forse l’avidità – ha prevalso sulla ragione: finché la Fed e la Bce continueranno a garantire liquidità a costo zero alle banche e agli intermediari, è stato il ragionamento di comodo, i mercati continueranno a crescere. Peccato però che l’equazione sia saltata: davanti al rimbalzo dell’economia americana, la Fed ha fatto sapere ai mercati di essere pronta a fermare già dal prossimo ottobre gli acquisti di bond con cui finanziava le banche. Qualcuno potrebbe obiettare che l’annuncio dello stop non ha provocato quel terremoto a Wall Street che molti temevano. Ma la risposta è semplice: la svolta della Fed, e la prospettiva di una contrazione della liquidità mondiale, sta pesando meno sul listino americano perché la forbice tra valutazione dei titoli (cioè il rapporto tra prezzi e utili futuri) e andamento dell’economia sottostante è molto più chiusa di quanto lo sia in Europa. In altre parole, se l’economia americana cresce, crescono anche i profitti delle aziende Usa, fattore-chiave per giustificare le valutazioni. Al contrario, e qui veniamo alla ragione successiva della correzione che fa oggi tanta paura tra Londra e Milano, la forbice tra valutazione dei titoli europei e andamento dell’economia è paurosamente grande: l’abbondanza di liquidità ha portato infatti l’indice Eurostoxx delle Borse europee al massimo di quattro anni e ridotto a pochi punti lo spread tra i titoli di Stato più sicuri (i Bund tedeschi) e quelli più rischiosi ma redditizi dell’Europa periferica, ma ha lasciato del tutto inalterate le gravi situazioni di crisi economica e industriale in cui versano quei Paesi, tra cui spicca ovviamente l’Italia. Ebbene, anche di questo si è cominciato a pagare il conto: dopo 4 anni di aiuti e centinaia di miliardi di dollari e di euro riversati nel sistema finanziario, l’economia europea non riparte e in alcuni paesi sembra addirittura peggiorare. In questo senso, la notizia della contrazione della produzione industriale italiana in maggio ha creato certamente disappunto, ma sono stati in realtà gli analoghi tonfi registrati da Francia e Germania a fare davvero paura. Il motivo è chiaro: che Italia, Spagna e Portogallo siano ad equilibrio macroeconomico precario è noto a tutti, ma se a segnare il passo sono anche corazzate come la Germania e la Francia, il problema è serio. Questi due paesi, infatti, sono considerati come un termometro dell’economia e del commercio globale: se vanno male, le ragioni vanno cercate su altre sponde degli oceani. E non a caso, proprio ieri si è appreso che la Cina ha segnato una contrazione superiore al previsto dell’interscambio commerciale e segnali di debolezza sono emersi anche in Giappone. Dopo 4 anni di manovre di sostegno, insomma, l’economia mondiale sembra segnare ancora il passo. In questo contesto, la ripresa evidenziata dall’economia americana non basta certamente da sola a garantire il traino del resto delle economie mondiali.
Per concludere. Ai fattori tecnici si sono aggiunti ora elementi macroeconomici non previsti che hanno accentuato il nervosismo degli investitori. Ieri alcuni analisti hanno cercato di temperare le paure spiegando che i dati di maggio sulla produzione industriale in Europa e quelli asiatici sul commercio sono certamente brutti, ma trattandosi di dati mensili non vanno esagerati: le proiezioni a fine anno, infatti, segnano ancora la prospettiva di un miglioramento. Ma allo stesso tempo, questi dati – e soprattutto la perdurante stagnazione che pesa su larga parte dell’Europa – potrebbero essere l’indicatore di un malessere più vasto nell’economia mondiale. E forse, al di la delle analisi tecniche, è proprio in questo senso che anche la Borsa ha cominciato a ragionare.
Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 11/7/2014