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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

MARIA ELENA, L’ALTER EGO CHIACCHIERE E DISTINTIVO

Il fatto che il ministro Boschi (a Le invasioni barbariche chiese di non esser chiamata ministra, e sia) sia insopportabile, non costituisce criterio di giudizio. Né siamo di quelli tanto accecati dalla sua bellezza da perdere lucidità d’analisi.
Se malgrado 20 anni di efferato barzellettismo al potere e a dispetto degli sforzi umoristici di Renzi la simpatia non è una categoria politica, non lo è manco l’avvenenza, su cui disse tutto l’inarrivabile manifesto Il favoloso mondo di Nicole stilato dalla consigliera regionale Minetti contro i politici bruttarelli seppur onesti e capaci.
La Boschi, della cui onestà non c’è motivo di dubitare, deve ancora dimostrare la sua competenza. Se i maschi hanno fatto le peggio cose, e persino i finti miti come Forlani erano “conigli mannari”, chissà quali vette di sublime cinismo istituzionale può agevolare l’eterea determinazione di una first lady di fatto col polso della Thatcher e il volto da copertina di Lady D.
Per ora ciò che offre, nonostante il suo (?) slogan “voglio essere giudicata per le riforme e non per le forme”, non va oltre la sua immagine e una certa permalosità alle critiche, in linea col premier-Pigmalione che dal quasi nulla di una consulenza legale su cose di Firenze l’ha creata ministro e quindi madrina costituente. Appena arrivata a Roma, chiese all’Huffington Post di cancellare un articolo che la voleva a inciuciare con quelle di FI (ripresa dalla Annunziata, negò, s’impuntò, s’arrese), poi mostrò una vellutata sportività per l’imitazione della Raffaele lasciando al braccio armato del Pd twitterino l’onere di sparare a zero contro il sessismo di certa satira, mentre col sorriso accusava i “professori” come Rodotà di “bloccare le riforme da 30 anni”. Gli episodi rivelarono l’arroganza da parvenu, forse fisiologica al rodaggio istituzionale: a parte l’organizzazione della Leopolda , infatti, non risulta che Boschi abbia fatto un solo giorno di scuola o gavetta politica prima di essere messa a riscrivere la Costituzione.
Chissà se ha imparato: si può criticare i politici anche se donne, trasecolare per i provvedimenti “honcrethi”, esprimere dubbi sulla bigiotteria brillocca di un potere pieno di donne gradevoli, ma dopo 6 mesi ancora troppo istituzionalmente trasparenti e teleguidate dal carisma di un premier maschio nel senso biologico e nell’altro. Il potere la fa serena: la liturgia della stampa filo-renziana prevede una foto di lei che avanza gioconda dal fondo in primo piano, o da sinistra verso destra, o esce da Palazzo Chigi in beige, col telefono in mano; sotto, una scritta, come nei santini. Mentre i fashion blog commentano i suoi completi Zara, lei sorvola con sprezzatura sul pasticcio dell’immunità per i neo-senatori (“non la volevo”); intanto con falcate assertive da red carpet sfila in Transatlantico, davanti a quella Camera dove andò a dire tutto d’un fiato che il Pd crede nella presunzione d’innocenza e perciò distribuisce nomine tra gli indagati.
La Boschi è la punta di diamante del new deal informato sul modello del gineceo al lavoro, rispettabile e glam. Non la mandammo noi in Congo a prendere i bambini adottati trasformando il volo nella fiera della photo opportunity, ma Renzi. Che non spedì i ministri competenti Alfano o Mogherini né la sua legittima moglie come usa nelle monarchie e in America, ma appunto lei, riconoscendole la telegenia quale dote più chiara, con una mossa di squisita, machiavellica marca politica.
Fisiognomicamente speculare alla Santanchè, lei articola concetti istituzionali scostandosi una ciocca di capelli dagli occhioni, rimarcando con pedanteria da esame biennalizzato una implicita differenza rispetto alle donne di quel regno burlesco di cui B. era signore e schiavo, fatte bersaglio delle peggiori illazioni da quegli stessi che oggi agitano il vessillo delle quote rosa.
Certo il renzismo è riuscito dove il berlusconismo ha fallito, anche nel dare credibilità istituzionale alla mera apparenza.
La Boschi, ambizioso alter ego mitologico di Renzi e sua faccia “secchiona” (ipse dixit), si intesta fiera il ddl sul Senato che rischiava di passare come il Finocchiaro-Calderoli e lo gnommero della legge elettorale scritta con Verdini, presentando un dossier-emendamento inverosimile (capilista nominati e candidati scelti con preferenze per chi vince le elezioni; per gli altri, liste bloccate) che ha fatto arrabbiare le frattaglie riottose del Pd e dato a noi l’impressione che la ragazza punti al potere vero e non a quello rosaquotato applicandosi sulla Costituzione con lo stesso corruccio fanciullesco di quando da bambina montava la cucina di Barbie. Certo ha distolto l’attenzione dalle altre insensatezze contenute nel suo testo e questo, lo ammettiamo, è un risultato politico. Antipatica, caruccia, inesperta: al momento, l’unica che potrebbe farle ombra è Francesca Pascale.
Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano 11/7/2014