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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

BORSA IN SU A CHI VA IL MUNDIAL

da Berlino
Prevedete che i panzer tedeschi facciano fuori gli argentini di Messi, come hanno distrutto i brasiliani? Allora investite alla borsa di Francoforte. Le vittorie sportive hanno un effetto immediato sull’economia del paese che conquista la Coppa del mondo. Una sconfitta provoca depressione come si dimostra in Brasile. Non è una considerazione nuova, ma Die Welt, da bravo giornale teutonico, non si limita alle parole, cerca di dimostrarlo con un’accurata analisi storica, a partire dal lontano 1954, aprendo con l’articolo non la pagina sportiva ma il supplemento finanziario. «Il calcio lascia le sue tracce sull’economia», commenta Peter Oppenheimer della Goldman Sachs.
La Germania è ancora in rovina, un paese di fatto occupato dalle potenze vincitrici. Tutti puntano sull’Ungheria che nella fase iniziale umilia i tedeschi per 8 a 3, quasi lo stesso risultato dei bianchi di Frau Angela, martedì scorso, contro i cariocas. Si arriva alla finale, e avviene quello che passerà alla storia come il Wunder von Bern, il miracolo di Berna. Vincono i tedeschi e, da quel 3 a 2, gli storici fanno partire la rinascita della Repubblica Federale. Il primo passo verso un altro miracolo, quello economico. Il titolo calcistico ridà fiducia a un popolo umiliato, si torna a credere in se stessi: la borsa sale del 92% rispetto alla media mondiale. E un anno dopo l’incremento è sempre di quasi l’8%.
Un caso? I tedeschi rivincono il titolo nel 1974 e le azioni salgono di quasi il 3%. Ci sono delle eccezioni: nel 1990 Beckenbauer conquista quel titolo che doveva essere nostro, all’Olimpico di Roma, ma la borsa perde il 15,5% sempre rispetto alla media mondiale. Ma è l’anno della riunificazione, e la Germania si ritrova davanti a un compito improbo, la ricostruzione della Ddr.
Nel 1994 il Brasile ci batte ai rigori (Baggio spedisce alle stelle il suo), e la borsa di Rio sale del 7% in appena un mese. Ma nel 2002 i cariocas vincono per la quinta volta, e le azioni brasiliane continuano a boccheggiare: la situazione è troppo grave per essere salvata dal pallone.
Nel 1982, quando siamo noi a battere i tedeschi, la borsa di Milano balza in alto del 10%. Perdiamo nel ’94 e le azioni azzurre calano del 9%. Nel 2010 alzano la Coppa finalmente gli spagnoli e Madrid fa un balzo del 10%.
In sette casi su nove le borse dei paesi che perdono la finale calano in modo più netto in confronto alla media mondiale. La spiegazione è evidente, spiega Die Welt. Il titolo provoca euforia nel paese vincitore, aumentano i consumi, e si registra un effetto a catena che dura a lungo. In Germania la congiuntura è già favorevole: i disoccupati sono al minimo, non c’è crisi in vista, e andando contro le loro abitudini parsimoniose i tedeschi spendono come non mai.
Un successo economico e sportivo che li rende inevitabilmente antipatici, come di solito capita ai primi della classe.
E poi, sono esagerati: quando si conduce già per tre o quattro a zero, ci si ferma, e non si umilia l’avversario. Ma loro non sono arroganti, sono inguaribili pessimisti: la storia insegna che quando hanno già la vittoria in tasca arriva la disfatta, alle porte di Parigi come nel 1914, o a Stalingrado. Quindi, nonostante il 7 a 1 sui padroni di casa in Brasile, forse è meglio non puntare su Francoforte a occhi chiusi. E si dovrebbe ricordare quanto sosteneva un esperto. George Bernard Shaw non s’intendeva di calcio né di borsa, ma era convinto che «quando tutti prevedono qualcosa, avviene sempre il contrario». Vincerà l’Argentina di Messi minacciata dal fallimento?
Roberto Giardina, ItaliaOggi 11/7/2014