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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

DROGA, C’È UN VUOTO NORMATIVO

La sentenza della Consulta sulle droghe leggere rende più difficili le inchieste ed «è urgente una nuova legge che metta chiarezza». È la preoccupata riflessione dei ma­gistrati calabresi che hanno condotto la re­cente operazione ’Mediterraneo’ contro il clan Molè. Ne abbiamo scritto ampiamente due settimane fa, sottolineando gli affari della ’n­drangheta nel gioco d’azzardo, ma il gruppo non ne faceva di meno con la droga, in parti­colare hashish. Ebbene proprio in conse­guenza della sentenza della Corte costituzio­nale, il gip ha respinto una trentina di richie­ste d’arresto sulle ottanta presentate dalla D­da di Reggio Calabria. Nell’ordinanza di cu­stodia cautelare viene proprio citata la deci­sione della Consulta dello scorso 12 febbraio (vedi scheda) che ha dichiarato incostituzio­nali due articoli del decreto legge 272 del 30 di­cembre 2005 che aveva di fatto equiparato da un punto di vista penale droghe pesanti e leg­gere (la Consulta non entra nel merito ma boc­cia solo il metodo usato). E il gip cita la sentenza in quanto, scrive, «buona parte delle transa­zioni ricadute sotto la lente investigativa nel presente procedimento hanno riguardato so­stanza stupefacente del tipo hashish». Già, per­chè il clan Molè sulla piazza di Roma si era spe­cializzato proprio in questa sostanza, ’com­mercializzando’ molti quintali all’anno sia nel­la Capitale che in provincia, utilizzando anche personaggi non direttamente legati alla cosca come l’attore romano Stefano Sammarco. E sono proprio alcuni di questi ad aver evitato il carcere. Come scrive sempre il gip, proprio la sentenza della Corte ha ridotto per le droghe leggere la pena prevista da sei a venti anni a quella da due a sei anni. Ora questo ’consen­te’, così scrive il gip, la custodia cautelare in car­cere, cioè la rende discrezionale e non più au­tomatica come di fatto era prima. Inoltre, spie­gano sempre i magistrati della Dda reggina, l’intervento della Consulta ripristinando il vec­chio testo del Dpr 309 del 1990, che era stato profondamente modificato da Dl 272, ha rein­trodotto la distinzione tra detenzione a fini di spaccio e quella per uso personale, ma senza mettere dei numeri, e la Consulta certo non po­teva farlo. Ma questo rende tutto più com­plesso. Infatti tutte le inchieste sui traffici di droga si basano soprattutto sulle intercetta­zioni telefoniche nelle quali emergono le pro­poste di vendita e di acquisto. Si usano parole di copertura e quasi mai si citano quantità pre­cise. «Nelle intercettazioni – spiega il sostituto procuratore, Roberto Di Palma che ha con­dotto l’inchiesta – si parla di salami o altro, ma non c’è dubbio a cosa si riferiscano. Ma non sappiamo a quanto ammontino e quindi non si può automaticamente arrestare. Perchè ora se non si capisce si deve applicare la modica quantità per uso personale che invece prima era esclusa». Infatti finora era bastato l’uso del­le intercettazioni per eseguire gli arresti, come dimostra il lungo elenco di sentenze della Cas­sazione citato nell’ordinanza per il clan Molè. Ma subito dopo arriva la citazione della deci­sione della Consulta che cambia le regole. Co­sì, come spiegano i magistrati reggini, ora le in­tercettazioni non bastano se poi non ci sono prove precise, in pratica se non si trova la dro­ga. «È dunque necessaria un’ulteriore attività probatoria. Tanto lavoro in più», si sfoga il pm. Così solo se dalle intercettazioni emerge con chiarezza un traffico di quantità ingente scat­tano automaticamente gli arresti, negli altri casi sono diventati facoltativi. «Nel dubbio ’pro reo’, cioè a favore dell’indagato», sottolinea Di Palma. E quindi niente arresto. L’inchiesta del­la Dda di Reggio Calabria ne è la prima cla­morosa applicazione. Ma basterebbe poco per fare chiarezza. «Basterebbe un numeretto – è l’auspicio del magistrato –, un criterio ogget­tivo per stabilire cosa è uso personale e cosa no. Oggi non c’è. Ma si può fare, basti ricorda­re i limiti di velocità o il tasso di alcool nel san­gue. E non mi sembrano questioni più gravi delle droghe».