Leonardo Piccini, Libero 11/7/2014, 11 luglio 2014
I COLONI EBREI, UNA VITA IN ATTESA DELLA GUERRA
Aria di guerra per i coloni ebrei. Da Nablousse a Qalqily, da Gerusalemme a Beit Shemesh, passando per la colonia di Esh Kodesh, un avamposto tra i più bersagliati in questi ultimi anni dagli attentati palestinesi, la popolazione che vive all’interno degli insediamenti ebraici costruiti entro i Territori in Cisgiordania e non a Gaza, dove furono smantellati in seguito alla decisione dell’allora premier israeliano Sharon vive un’attesa carica di rabbia e di tensione. Mai come in queste ultime ore gli attriti tra Israele e Hamas sono sembrati sul punto di non ritorno. E al di là degli annnunci, i settler come vengono chiamati i coloni ebrei sono convinti dell’imminenza di un attacco da parte palestinese sia pur, come detto, al di fuori dei confini di Gaza magari in risposta al paventato attacco via terra annunciato da Gerusalemme. Secondo Yair Hirsch, un colono di Achya, «i palestinesi, dopo quanto accaduto in queste ultime ore, si preparano a colpirci. Sono anni che ammazzano le nostre donne e i nostri bambini. Ci sparano mentre siamo in auto, sull’autobus o in coda al supermercato. Il loro obbiettivo non è solo quello di cacciarci da casa nostra, dalle nostre terre, ma di arrivare fino a Tel Aviv e riprendersi Gerusalemme».
Secondo dati del ministero degli Interni israeliano risalenti aall’anno scorso, gli insediamenti riconosciuti in Cisgiordania sono 121 e ospitano circa 350mila persone, a Gerusalemme Est vivono circa 300mila israeliani e 20mila nelle Alture del Golan. Negli ultimi cinque anni i coloni israeliani in Cisgiordania sono aumentati del 20 per cento. Elyakim Haezni è uno dei loro leader. Vive con la famiglia a Kiriat Arba, nei pressi di Hebron, uno dei luoghi tra i più emblematici per gli ebrei, perché qui, nei pressi della grotta di Machpelà, sono custoditi i sepolcri del patriarca Abramo e della moglie Sara. «La verità ci dice Haezni è che i palestinesi stanno facendo di tutto per spingere Israele a sferrare un attacco. Hamas tiene in ostaggio la sua popolazione, hanno ammazzato a sangue freddo tre ragazzi solo perché erano ebrei. Vogliono annientarci, distruggerci, ma noi abbiamo insegnato al mondo che non ci pieghiamo e che siamo pronti a difendere il nostro diritto a esistere. Lo facciamo non solo per noi ma anche per i nostri figli, e perché questa è la nostra terra. Abbiamo già pagato un prezzo molto alto: nel 2005 Sharon, sbagliando, ha evacuato da Gaza più di 8.000 dei nostri coloni, e i risultati si sono visti: il numero dei razzi Qassam, dei missili e degli attentati contro Israele è cresciuto in modo impressionante. No, il nostro movimento non si è indebolito, e bene ha fatto Avigdor Lieberman ad annunciare la fine dell’alleanza tra Israel Beitenou [il partito ultranazionalista, ndr] e il Likoud di Netanyahu. Il nostro primo ministro deve imparare che non si tratta con i nostri assassini». In Israele c’è un detto sui ragazzi di Tel Aviv: «Anche quando suonano le sirene che annunciano il pericolo loro rimangono impassibili, incollati alle sedie dei caffè sulla spiaggia a sorseggiare mojitos». È l’abitudine alla guerra.