Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 11 Venerdì calendario

L’UOMO DEL GIORNO PRIMA S’IMPUNTA, POI METTE TUTTI D’ACCORDO


Roma «Bolscevichi, non fanno così neanche in Russia. E questa sarebbe la vostra idea di democrazia?». Sembrava fatta, la riforma del Senato sembrava davvero all’ultima curva, quando Renato Calderoli s’è infuriato. «A questo punto ritiro la mia firma sotto gli emendamenti. Se la vedrà l’aula». Invece se la sono vista (brutta) la Boschi e la Finocchiaro. Vertici, ritocchi, panico a Palazzo Chigi, trattative, «Roberto qua, Roberto là, Roberto adesso risolviamo» e alla fine «la quadra» è stata ritrovata. «Ecco, adesso va bene», il commento di «Roberto» dopo le correzioni.
Dunque il dentista ha vinto ancora. A far arrabbiare il relatore di minoranza, oltre al merito politico del criterio di scelta dei nuovi senatori, pare sfavorevole alla Lega, è stato il metodo, perché la norma in questione sarebbe stata cambiata proprio mentre Calderoli era all’ospedale San Raffaele, ricoverato dopo un malore. Lui, dicono, c’è rimasto male. «Ma come, con Anna e Maria Elena andavamo tanto d’accordo e ora mi fanno questo...». L’ha presa come uno sgarbo, una pugnalata alle spalle.
Tra i tre infatti filava tutto liscio. Lontani i tempi in cui l’esponente del Carroccio era un bersaglio fisso della sinistra per le sue considerazioni sull’Islam, gli omosessuali e le questioni razziali. E anche il fatto di essere il padre dell’odiato Porcellum era stato accantonato. No, spiegavano al Pd, non è un mostro, con Calderoli si lavora bene. Anzi, «è indispensabile», visto che «conosce leggi e regolamenti parlamentari meglio di qualsiasi altro».
Una bella soddisfazione per chi, da ministro, ha dovuto subire una serie di richieste formali di sfiducia. Dalle battute sul Papa - «A Benedetto XVI avrei preferito Crautus I» - alle magliette anti-islamiche, dal maiale-day, alla taglia su Unabomber fino alla castrazione per i pedofili, le «sottili» provocazioni di Calderoli hanno sempre provocato un mare di polemiche.
Niente rispetto a quanto è successo quando ha definito «un orango» Cécile Kyenge, ministro dell’Integrazione del governo Letta. Un gruppo di cittadini ha organizzato una petizione on-line per raccogliere le firme e chiedere le sue dimissioni da senatore. Oscar Farinetti ha proibito l’ingresso a Eataly «all’uomo-scimmia Calderoli, per motivi di igiene». E qualcuno esperto di genealogia, ha sostenuto che Calderoli ha origine rom perché la caldera è la pentola degli accampamenti, Calderar un tipico cognome zingaro e Kalderasha il nome di una storica famiglia nomade centro-europea.
Adesso invece tutti gli riconoscono una grande capacità di mediazione. Come presidente del Senato è trasversalmente considerato il più abile timoniere d’aula. Non ha caso ha resistito senza problemi ai terremoti che negli ultimi anni hanno sconvolto il Carroccio. Bossi pensionato, la Trota affumicata, Rosi Mauro rottamata, Maroni arroccato al Pirellone, Castelli sparito dai radar. Della vecchia guardia leghista è l’unico in auge, nel partito è quello con il più importante incarico istituzionale, la vicepresidenza di Palazzo Madama.
E ora che la tempesta sembra passata e si aspetta la prossima mareggiata sulle riforme, Calderoli può godersi la sua rivincita: «Adesso il testo è tornato democratico». Il Pd lo ringrazia pubblicamente. «Nessuna concessione ai frenatori, la riforma del Senato va in aula lunedì 14 luglio. L’impegno della commissione Affari Costituzionali, ed in modo particolare dei relatori Finocchiaro e Calderoli, ha consentito di superare anche l’ultimo problema», dice Andrea Marcucci. Ma siccome non ci si può mai rilassare, Calderoli fa qualche distinguo. «È stato fatto un passo avanti». Abbastanza perché la Lega possa votarlo? «La parte a regime, sì. Non sono d’accordo sulle norme transitorie». Alla prossima puntata.