Rita Sala, Il Messaggero 11/7/2014, 11 luglio 2014
LO SMEMORATO HA UN NOME
IL CASO
Sono passati quasi novant’anni. Lo smemorato di Collegno, antonomasia italiana per eccellenza, ha ispirato nel frattempo film, fiction, opere musicali e teatrali, parodie, resistendo a qualsiasi rivelazione. Ma l’altra sera la trasmissione di RaiTre Chi l’ha visto? ha infranto il suo mistero. I risultati dell’analisi del Dna (compiuta comparando il profilo genetico di Julio, nipote certo del professore nel quale una signora della buona borghesia identificò allora lo smemorato, con quello di Camillo, figlio del “senza memoria” nato dopo la fine della guerra) non confermano la storia: l’uomo di Collegno non era lo studioso Giulio Canella, bensì, per esclusione, il tipografo Mario Bruneri.
LA VICENDA
«Ma si figuri, se mi volessi un po’ conoscere, essere «una» un po’ anche per me, ecco, questa “signora Lucia” del signore, per esempio, dica lei, se ora potrei sopportare di vivere qua con lui!».
Così dice l’Ignota di Luigi Pirandello nel primo atto del dramma Come tu mi vuoi, composto tra il 1929 e il 1930. Lo scrittore agrigentino si era ispirato, per scriverlo, a una vicenda di cronaca che aveva fatto scalpore proprio in quegli anni, il famoso caso Bruneri-Canella, ovvero la lotta giudiziaria combattuta da due donne per dare identità ad un uomo, lo “smemorato di Collegno”. Sulla barricata, contendendosi il misterioso individuo che nel 1926 comparve un bel giorno in ospedale, senza ricordi alle spalle, c’erano Giulia Concetta Canella, cugina e moglie dello stimato Giulio Canella, benestante, figlio di un letterato e a propria volta professore di filosofia, dato per disperso durante la Grande Guerra, e Rosa Negro, moglie di un operario torinese vagabondo, già condannato per truffa e lesioni.
Giulia, dopo aver sostenuto lunghi colloqui con il redivivo, riconosciuto come il proprio marito da una fotografia pubblicata sulla “Domenica del Corriere”, giurò di aver ritrovato il consorte. Il confronto delle impronte digitali con quelle di Bruneri, però, confermò che lo smemorato era invece il pregiudicato latitante, chiamato altresì a scontare una pena residua di due anni di carcere. Giulia Canella non mollò. E nemmeno Rosa Negro. L’ultima sentenza fu della Corte di Cassazione, nel 1931: lo smemorato era Bruneri e doveva pagare alla giustizia ciò che gli mancava per saldare i conti con la stessa. Giulia, ostinata, attese il termine della detenzione, quindi si trasferì con il presunto marito in Brasile, dove possedeva vaste proprietà. E dove il sedicente Canella morì nel 1941.
PROVA SCIENTIFICA
Se fosse esistita la prova scientifica del Dna al tempo della comparsa dello smemorato, Angelo Musco non avrebbe scritto e interpretato, nel 1936, Lo Smemorato. Ci mancherebbero la pièce di Pirandello Come ti mi vuoi, il film Lo smemorato di Collegno di Sergio Corbucci, con Totò, del 1962, uno sceneggiato in due puntate della Rai per la serie Processi a porte aperte (1970), il film di Pasquale Festa Campanile Uno scandalo perbene del 1984, le mostre Sconosciuto a me stesso (a Collegno, nel 1888) e L’uomo che smarrì sé stesso - Indagine sullo smemorato di Collegno (nella stessa città, ma nel 2009). Ci saremmo persi persino la “macchietta” di un attore dei nostri giorni, Rosario Fiorello, che sei anni fa si è ispirato alla figura del “senza memoria” di Collegno per creare lo “smemorato di Cologno”, un simil-Berlusconi che perde qualsiasi ricordo all’udire parole concernenti il comunismo.
Già nel 2009 Chi l’ha visto? aveva riacceso i riflettori sul caso e affidato ai Ris dei Carabinieri, nella speranza che cedessero qualche traccia di Dna, le lettere inviate da Canella alla moglie quando combatterva sul fronte, assieme e quelle scritte dall’uomo senza passato durante il carcere. Lo stesso programma, come detto, ha poi annunciato i risultati dell’analisi del Dna effettuata dalla genetista Marina Baldi sui discendenti viventi di Canella e dello smemorato. Il risultato è stato consegnato in busta chiusa a Julio Canella, che pare sia rimasto deluso. Forse, come l’ava Giulia, capace di portarsi dritto dritto in Brasile, come marito, l’uomo appena uscito di prigione, era sicuro del legame parentale. «Non è il risultato che mi aspettavo, ma questa è una prova come altre, ce ne sono tante a favore e tante contro, per noi non cambia niente», è stato il suo commento.
Il genio di Pirandello, ricreando a suo modo in teatro, al femminile, questa vicenda che divise in due l’Italia - da una parte le prove addotte dalla polizia, dall’altra la spinta del cuore - aveva in certo modo anticipato le conclusioni alle quali è giunta la scienza. Dice l’Ignota (un Bruneri da palcoscenico, forse capace di simulare l’amnesia per sfuggire alle proprie miserie): «... E non le dev’esser mai nato da un tormento vero, da una disperazione vera, il bisogno di vendicarsi della vita, della vita com’è – come gli altri, i casi gliel’hanno fatta – creandone un’altra migliore, più bella, come avrebbe dovuto essere, come avrebbe voluto averla!...».