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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

SOLDI FACILI E FAVORI, COSI’ LISBONA RISCHIA DI CONTAGIARE IL SUD EUROPA

No, questa volta il turbocapitalismo dei mutui subprime che sette anni fa fece crollare la Lehman Brothers e innescò la peggiore crisi finanziaria dal Dopoguerra, non c’entra. Questa volta, a mandare brividi di paura in un sistema finanziario globale che porta ancora le scottature di quella crisi, è un esempio di capitalismo familiare e familista di purissimo stampo – non se n’abbiano gli atlantici lusitani – mediterraneo. Come definire altrimenti il caso della seconda banca portoghese, con il turbinio di prestiti incrociati, di terga blasonate che occupano in simultanea più poltrone nei diversi consigli, di società controllate a cui ci si rivolge per chiedere crediti che altri non vogliono dare?
Così, se nelle sale operative di alcune grandi banche internazionali si parla di «un bubbone che doveva scoppiare» e si dice di non temere un contagio che toccherebbe prima di tutto Italia e Spagna, più di una preoccupazione serpeggia in altre stanze. Quelle del potere europeo, prima di tutto. La Bce non commenta la vicenda portoghese, perché non ha ancora la vigilanza bancaria che scatterà solo a novembre; ma è ben conscia che questo ennesimo problema dalle parti del Club Med del credito rischia di diventare un buon argomento per lo scetticismo che la Germania e altri Paesi settentrionali nutrono verso l’Unione bancaria. Il Fondo monetario internazionale mette nero su bianco, pur non citando pudicamente l’Espirito Santo, che nel sistema bancario del Portogallo «rimangono sacche di debolezza, richiedendo misure correttive in alcuni casi e una sorveglianza “intrusiva” in altri». Quei 78 miliardi di euro stanziati nel maggio 2011 dalla Troika - per l’appunto Bce, Fmi e Commissione Europea - non sono dunque bastati a mettere a posto il sistema. Anzi, quel che resta di quei fondi - ci sono sei miliardi non ancora utilizzati - potrebbe adesso tornare assai utile per cercare di rimediare in fretta al nuovo guaio.
E poi ci sono i timori dei grandi investitori internazionali che fanno girare i soldi - mai così tanti come in questa fase, con la Fed e la Bce che hanno allentato le briglie dei tassi d’interesse spingendo al galoppo i mercati finanziari ma ottenendo effetti meno netti sull’economia reale - e adesso si chiede se l’esposizione sul Sud Europa non sia eccessiva. Il caso Espirito Santo può essere allora l’occasione per una correzione sui mercati - è il ragionamento che circola - quasi salutare dopo mesi di quotazioni al rialzo, senza per questo trasformarsi in una valanga sui mercati. Chi sostiene questa tesi fa notare anche che, mentre la Fed annuncia una politica monetaria meno accomodante, all’Eurotower di Francoforte sono già decisi a procedere tra settembre e fine anno - grazie al nuovo programma Tltro - a mettere in circolazione fino a mille miliardi.
Da risolvere per ora resta comunque l’inglorioso epilogo di un secolo e mezzo di storia portoghese che sta dietro le vicende del Banco Espirito Santo. Si parte nel 1869 quando il diciannovenne José Maria do Esprito Santo e Silva apre un piccolo banco di cambi a Lisbona e si arriva a questi giorni, con le dimissioni forzate già annunciate dall’amministratore delegato del Banco Ricardo Salgado, bis-bisnipote del fondatore. In mezzo la creazione di un impero finanziario, la Rivoluzione dei Garofani del 1975 che con la nazionalizzazione della banca e la fuga di parte della famiglia verso terre lontane dove si dedicano con gran successo ad altri affari - alberghi, energia, costruzioni, sanità - la privatizzazione del ’91 che riporta gli Espirito Santo al timone della banca con il loro nome. La piramide societaria e gli episodi contestati colpiscono: il Banco è controllato con il 25% dall’Espirito Santo Financial Group (Esfg), a sua volta controllato al 49% dalla holding lussemburghese Rioforte che è interamente posseduta dalla Espirito Santo International (Esi), controllata proprio dalla famiglia. È proprio la Esi che adesso ha difficoltà a pagare gli interessi su alcune obbligazioni emesse. La Banca del Portogallo rassicura che i problemi della controllante non si rifletteranno a valle, sul Banco. Ma non conforta il turbinio di operazioni degli ultimi due anni: il Banco, ad esempio, ha prestato circa un miliardo di euro alla controllante Esfg mettendo le sue obbligazioni nei portafogli di piccoli e grandi clienti; al tempo stesso Portugal Telecom - che ha il Banco come azionista - ha comprato debito della Esi per 900 milioni. Operazioni spericolate per le quali adesso potrebbero pagare il conto non solo i banchieri portoghesi, ma anche Piazza Affari e le altre piazze del Sud Europa.