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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

NEL SUPER BUNKER DI ASHKELON, DA DOVE PARTE LA CACCIA A I RAZZI

Dietro la sede del Municipio, in un corridoio laterale c’è un’anonima porta grigiastra senza insegne da cui si accede al «Hamal». È questo l’acronimo di «Heder Milchamà» ovvero la «War Room» da dove il sindaco Itamar Shimoni coordina le difese civili di una città di 240 mila abitanti che in 72 ore è stata bersagliata da quasi 300 razzi lanciati dalla Striscia di Gaza. Ogni città d’Israele ha una «Hamal» perché la difesa civile del territorio è un pilastro strategico di quella militare, consentendo di suddividere le responsabilità, informare la cittadinanza e in ultima istanza ridurre i rischi.
Da quando l’operazione «Protective Edge» è iniziata Ashkelon è - assieme a Sderot - la città più esposta agli attacchi di Hamas per ragioni geografiche: dista appena 8 km dal confine e 16 dal centro di Gaza. «Hamas spara i razzi contro di noi dal centro di Gaza - spiega Yosef Greenfield, capo della sicurezza civile cittadina - e ci arrivano in appena 15 secondi». È in questo ristretto arco di tempo che le batterie antimissili Iron Dome identificano i razzi e intercettano quelli più pericolosi - perché diretti verso zone densamente popolate - facendo scattare in contemporanea gli allarmi lì dove l’impatto può avvenire.
È un sistema difensivo hi-tech che dalla «War Room» cittadina viene monitorato per essere pronti a intervenire in caso di danni a proprietà o persone. La sala blindata, due piani sottoterra, è circondata da altre stanze più piccole e corridoi dove dozzine di funzionari civili lavorano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per tenere d’occhio ogni dettaglio. Ci sono monitor, piantine della regione da Gaza ad Ashkelon, telecamere accese in movimento nelle zone più critiche e una cucina dove, nei momenti di pausa, chi non è di turno consuma Nescafè a volontà. «La difesa militare spetta all’esercito, noi qui ci occupiamo della sicurezza civile» spiega Avi, un avvocato che come riservista tiene i rapporti fra sindaco ed esercito. Significa «pensare agli oltre 1500 bambini che vivono in case vecchie, senza stanze protette perché da 72 ore sono chiusi dentro e potrebbero restarvi per settimane».
Il sindaco Itamar Shimoni ha pensato di organizzare per loro concerti all’auditorium per «farli uscire da casa e tenerli al tempo stesso in un luogo protetto». Poi c’è il problema di malati, infermi e anziani impossibilitati a raggiungere i rifugi nei 15 secondi di tempo che vi sono dopo ogni sirena d’allarme. «Per loro abbiamo studiato un sistema basato su volontari li vanno a prendere per portarli all’aria aperta, lungo percorsi dove ci sono rifugi agibili facili da raggiungere» spiega Avi, secondo il quale però «il problema maggiore viene dai bambini piccoli». Ecco il motivo: «Sentono la sirena, intuiscono il pericolo incombente ma non riescono a capire di cosa si tratta». Da qui la necessità di dozzine di psicologi, spesso donne, che il Comune manda nelle case su richiesta dei genitori, per mettere in atto «comportamenti rassicuranti» basati sull’esperienza fatta dalle famiglie di Sderot, la città più colpita dai razzi sin dall’indomani del ritiro israeliano da Gaza nel 2005.
«La collaborazione e i nervi saldi della popolazione sono fondamentali - spiega Greenfield, un ex generale con una figlia iscritta a Medicina all’ateneo di Torino - proprio come avveniva nella Gran Bretagna bersagliata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale». Da qui i corsi a raffica, nelle scuole e sui posti di lavoro, con gli istruttori che ripetono in continuazione cosa fare per difendersi dai razzi: chi si trova a casa deve andare nelle «stanze protette», create in ambienti senza finestre, o se possibile nei rifugi mentre chi ascolta la sirena mentre si trova all’aperto deve stendersi pancia a terra con la testa fra le mani.
A spiegare il motivo è Avi, indicando i resti di alcuni razzi Qassam posizionati al centro della «War Room»: «Sono tubi di metallo, al cui interno mettono centinaia di biglie di ferro che l’esplosione trasforma in proiettili e possono generare schegge di altri materiali, a cominciare dall’asfalto perché cadendo in terra creano per reazione frammenti volanti roventi, capaci di perforare un corpo umano, fino a ucciderlo». Per evitare biglie e schegge bisogna aspettare, spiegano gli istruttori della «War Room», «almeno 10 minuti dal momento della sirena» per dare tempo all’Iron Dome di intercettare il razzo, farlo esplodere e far cadere in terra ogni suo singolo componente.
«È fondamentale restare al coperto per 10 minuti» ripetono all’unisono i consiglieri del sindaco, che annotano su una particolare lavagna luminosa tutti i «missili pericolosi» che hanno minacciato la città negli ultimi giorni con le relative «misure adottare in risposta». L’avvocato Avi è un riservista di 38 anni mentre Yosef Greenfield è un generale in pensione e di anni ne ha 60: appartengono a generazioni diverse ma attorno al sindaco Shimoni lavorano in tandem, accomunati dalla volontà di «far passare questo periodo senza danni». Nella comune speranza che «la crisi a Gaza finisca presto e i lanci di razzi si interrompano» perché «il problema maggiore potrebbe venire da tempi lunghi, capaci di causare conseguenze economiche negative per l’impossibilità di lavorare in molte aziende e negozi».