Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 10/7/2014, 10 luglio 2014
IL MALESSERE DEI PIIGS DOPO LA GRANDE «ABBUFFATA»
Mentre, nel pomeriggio, gli operatori spiegavano che il dollaro stava salendo, perché si temeva una Fed più aggressiva, la valuta ha invertito tendenza. «Tutto fa propendere per una Fed, più accondiscendente, più colomba», hanno allora commentato con la disinvoltura di chi tenta di spiegare comportamenti poco comprensibili.
Ma, se non è dato di capire cosa abbia guidato le bizzarrie del dollaro, la reazione degli operatori testimonia la difficoltà d’interpretare la presente situazione che negli Usa si configura come leggero malessere, in Europa come una più seria stanchezza e in Italia e gli altri Paesi periferici come qualcosa di più serio.
L’impressione è che l’origine di questo non ancora critico contagio siano proprio l’Italia, la Spagna e gli altri anelli deboli d’Eurozona. E non è cosa di qualche giorno. Da un mese la borsa di Milano si muove al ribasso e con un meno 7,2% ha fatto 3 punti peggio dell’indice euroStoxx e quasi 5 rispetto allo Stoxx. Comportamenti simili hanno tenuto anche i mercati azionari degli altri Paesi periferici. Da un mese a questa parte, anche i titoli di Stato hanno perso colpi: sicché lo spread del BTp è passato dai 132 punti del 9 giugno ai 166 di ieri, imitato dal Bonos e dagli altri bond "periferici".
In termini assoluti la debolezza del BTp è poco preoccupante, visto che il rendimento è salito di soli 18 centesimi, per lo più nelle ultime 7 sedute. Ma la forza del Bund (all’1,22%, rendimento non lontano dai minimi storici del maggio 2013), più che essere indice della rinvigorita politica espansiva della Bce, pare rispondere a quell’antica ricerca di sicurezza che con gravi conseguenze avevamo sperimentato due-tre anni addietro. Anche la resistenza del decennale americano, inchiodato a rendimenti di poco superiori al 2,5%, è parzialmente spiegabile con la retorica del «volo verso la qualità».
Le diagnosi del malessere italiano o dei "periferici", tentata dagli operatori, merita d’essere citata, non tanto perché colga nel segno i problemi, quanto perché riflette il mutato umore degli investitori. Sostengono costoro che la ripresa economica d’Eurozona sia più debole del previsto, anche in Germania, che il cammino delle riforme promesse in Italia da Matteo Renzi è più tortuoso di quanto si pensasse e che pure i tentativi di Renzi di alleggerire il teutonico patto di stabilità europeo hanno scarse possibilità di successo. Sono tutte considerazioni che il buon senso suggeriva anche mesi fa. Si aggiungano, adesso, le fresche preoccupazioni per i nuovi straordinari accantonamenti imposti a Bnp e Commerzbank e le difficoltà del portoghese Banco Espirito Santo ed ecco che l’umore si fa più scuro: su tutti i titoli bancari e sui bond governativi.
In realtà, da un anno a questa parte, la forsennata ricerca del rendimento da parte degli investitori internazionali, tradottasi in grossi acquisti di azioni e titoli di Stato sui mercati dei Paesi periferici, ha provocato una sorta di indigestione. In meno di un anno, Piazza Affari è salita fino a un massimo del 49%, quasi il doppio dell’indice Stoxx e il BTp decennale ha prodotto ritorni del 20%. S’aggiunga la grande abbuffata di carta emessa dalle società quotate (tra nuovi collocamenti e aumenti di capitale) e dal Tesoro di tutti i Paesi periferici, e si ha la misura di quanto fossero gonfi (e lo siano tuttora) i portafogli degli investitori. Ora, tutte le argomentazioni degli operatori suonano come scusa per lenire gli effetti della loro recente bulimia.
Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 10/7/2014