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 2014  luglio 10 Giovedì calendario

PROVETTA, CRESCE IL BUSINESS DELLE CLINICHE

Se è vero che la fecondazione assi­stita è pratica sempre più richiesta nel nostro Paese, vero resta purtrop­po che continuiamo a vestire la ma­glia nera d’Europa per l’età media delle donne che chiedono un figlio alla scienza: 36,5 anni, contro i 34 o poco più degli altri Paesi. E due an­ni, in questo caso, significano una flessione non indifferente delle pos­sibilità di successo, già marginali. Lo sa bene il Ministero della Salute, che nella sua relazione annuale sull’ap­plicazione della Legge 40 relativa al­l’anno 2012, inviata ieri al Parla­mento, sulla questione mostra preoccupazione: «Si cerca di avere figli in un’età più elevata, nella qua­le la fertilità è notevolmente ridotta. Questo fenomeno implica che an­che la scoperta d’infertilità si verifi­chi a un’età nella quale l’efficacia del­le tecniche di procreazione medi­calmente assistita è sensibilmente li­mitata». I risultati della procreazio­ne artificiale, sebbene in lieve au­mento rispetto all’anno precedente, confermano: 11.974 nati nel 2012 sul totale dei 93.634 cicli iniziati (per 72.543 coppie), pari a una media to­no del 12,8% di successi ottenuti. Con punte virtuose anche del 20% per le tecniche di II e III livello (quel­le ’a fresco’, solo in alcune regioni), ma anche con abissi incredibili per quelle di I livello (cioè di insemina­zione semplice, la meno invasiva) del 5,5% nelle donne oltre i 40 anni e del 2,6% appena per le donne con un’età superiore ai 43.
Ma l’età troppo avanzata delle aspi­ranti mamme italiane non è certo l’unico nodo emerso dalla relazione. La fotografia parla di un fenomeno nuovo, e purtroppo prevedibile vista la mole di annunci pubblicitari ma­scherati da notizie che ha fatto se­guito, tanto per fare un esempio, al via libera della Consulta alla fecon­dazione eterologa: è l’impennata del business della provetta, parallelo a quella delle richieste, con un au­mento sensibile del settore privato a discapito del pubblico. I centri pri­vati, 218 nel 2012, erano 185 al 31 gennaio 2009, mentre quelli pubbli­ci e privati convenzionati, 137 nel 2012, erano 156 al 31 gennaio 2009. Al dato si affianca quello circa la di­somogeneità delle attività svolte dai centri (tutti), nella maggior parte dei casi irrisoria: il 77,4% delle strutture di I livello non ha superato le 50 cop­pie di pazienti trattate in un anno, mentre per quelli di II e III livello quasi la metà dei centri operanti nel nostro Paese (48,4%) ha svolto me­tale di 200 cicli. E i centri che hanno effettuato più di 500 cicli, che si pos­sono definire di grandi dimensioni e di comprovata esperienza? Nel 2012 erano appena 37. Il che, quando si parla di tecniche così delicate – che richiedono accurati controlli e pro­cedure ben rodate –, suona come un allarme, visto per esempio quello che è successo pure in un grande ospe­dale come il Pertini. Drammatico resta anche il dato cir­ca la formazione e il congelamento di embrioni, quest’ultimo ancora in crescita rispetto al 2011: sul totale di 114.276 embrioni formati, ben 18.957 (cioè il 16,6%) sono stati con­gelati. Un numero esorbitante che è frutto diretto – va ricordato – della sentenza della Corte Costituzionale n. 151/2009, con cui venne abolito il numero massimo di tre embrioni da trasferirsi in un unico e contempo­raneo impianto liberalizzando, di fat­to (ma non legalmente), la possibi­lità di ricorrere alla crioconservazio­ne degli embrioni. Il tutto a discapi­to della tecnica di congelamento dei soli ovociti, scesa ulteriormente nel 2012 al 5,7% del totale dei cicli.