Daniela Fedi, Il Giornale 10/7/2014, 10 luglio 2014
LA MAMMA. E SERGIO CHE NON C’È PIÙ. «DEVO A LORO QUELLO CHE SONO»
«Il creativo sicuro è un cretino». Certe frasi di Armani sono come proiettili sparati nella schiena dei suoi collaboratori che inutilmente tentano di moderare quella schiettezza senza confini dietro cui si nasconde sempre la dirittura morale. Lui ama la verità, punto e basta. «Non ne voglio parlare, il numero mi irrita» ci rispose lo scorso gennaio quando abbiamo cominciato a chiedergli un’intervista per fare il punto sui suoi 80 anni. Li compie domani mentre Sophia Loren, sua amica e inossidabile cliente da una vita, li compirà il prossimo 20 settembre. I due si sono rincontrati l’altra sera a Parigi dove lui ha fatto sfilare un’indimenticabile collezione Privè orchestrata sui colori delle carte da gioco: bianco, rosso, nero. Lei, in prima fila con un superbo abito corto tutto coperto di cristalli scarlatti, era il suo asso pigliatutto: più bella e affascinante di tante ragazzette presenti in sala solo perché hanno mariti e amanti pieni di soldi. A questo tipo di donna il signor Armani porta rispetto in quanto clienti, ma dire che gli piacciono sarebbe troppo, preferisce le tipe toste e interessanti, gente con una vera cultura del fare. Una volta gli abbiamo chiesto se si è mai innamorato di una donna e lui serafico ha risposto: «Spesso. La prima aveva sette anni, si chiamava Wanda ed era una bambina bellissima. Sembrava un’asiatica con i capelli neri, dritti, la carnagione olivastra. Ricordo ancora il suo profumo».
Inutile dire che non ha amato nessuna donna quanto la madre, Maria Raimondi detta Mariù, nome che poi ha dato alla sua prima barca. Quella di adesso, tutta nera e con una linea che toglie il fiato per l’eleganza, si chiama «Main» che in piacentino significa mamma. «Era una donna molto severa, solo da adulto ho capito quanto dovevo alla sua severità» racconta sempre aggiungendo ogni tanto qualche aneddoto sulla signora. Il più gustoso riguarda le faccende domestiche che lui e il fratello Sergio dovevano fare senza discutere nella casa natale di Piacenza abbandonata subito dopo la guerra perché il padre, Ugo, trova lavoro a Milano e vi si trasferisce con la famiglia. «Bisognava lavare i piatti e pulire il pavimento con lo straccio imbevuto di petrolio perché così non si formava subito la polvere. Allora una volta io facevo questo e Sergio lavava i piatti o viceversa. Una scuola dura ma utile. Che mi ha insegnato il rispetto per me stesso e per gli altri». Una storia così, asciutta e toccante allo stesso tempo, non uscirebbe mai dalla bocca di un altro stilista perché nell’ambiente le apparenze contano sempre più della sostanza. Invece lui che pure è di un’esemplare riservatezza, parla di sé quando fa, non quando rappresenta. Anche per questo non vuole parlare di questi suoi benedetti 80 anni che tra l’altro sono molto vicini al quarantennale dell’azienda.
La Giorgio Armani è stata infatti fondata nel 1975 da lui e Sergio Galeotti, l’uomo che oltre a essere un socio impagabile è stato l’amore della sua vita: «Mi ha dato la forza di fare il mio lavoro, d’improvvisarmi stilista» spiega senza entrare nei dettagli di questo fatale incontro avvenuto nel 1966 in Versilia. A 40 anni comincia la sua vera carriera, le donne grazie alle sue giacche inimitabili diventano più forti e sicure sul lavoro. Gli uomini entrano nel territorio della seduzione.
Lui smette di essere spensierato il 14 agosto 1984 quando Sergio Galeotti scompare tragicamente. Da quel momento diventa lo stilista-imprenditore, un uomo con enormi responsabilità sulle spalle. Tanto per dare un’idea ha oltre 6500 dipendenti nel mondo e 12 stabilimenti produttivi. Vanta anche 52 milioni di fans subscribers su Facebook e un milione e 200 mila follower su Twitter: un personaggio globale come pochi. Essendo tutto fuorché cretino ha fatto del perfezionismo il suo pensiero seme quotidiano. Fargli gli auguri di compleanno non basta: dovremmo ringraziarlo di essere e rimanere italiano.