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 2014  luglio 10 Giovedì calendario

EFFETTO RENZI, LA BINDI NON CONTA PIÙ NIENTE


No, il dibattito no, almeno quello presidente ce lo risparmi. Ma siccome Rosy Bindi non ha alcuna intenzione di risparmiarsi, non ne è capace, non è nel suo stile, eccola allora aggirarsi per l’Italia a caccia di microfoni, di photo-opportunity e, hai visto mai, di un’intervistina. È così da qualche mese, da quando è uscita dal grande giro. L’incontro ad Arezzo con Don Ciotti per la festa provinciale dell’Acli, la trasferta dell’Antimafia in un’Imperia inquinata dalle cosche, il viaggio a Palermo per l’anniversario della strage di Capaci, il sacrosanto anatema contro la ’ndrangheta dopo l’inchino della Madonna di Oppido Mamertina. Tra una tavola rotonda e un tavolo per l’ordine pubblico, l’agenda della presidente è molto fitta. Come l’anno scorso, l’aspettano per la «festa dei Pucciani» a Massa, dove nel fresco parco della Comasca si balla il liscio e si parla anche un po’ di temi sociali. Ma forse stavolta non andrà.
Rosy chi? Rottamata da Renzi, retrocessa nella serie cadetta della politica, seppellita nel dignitoso cimitero degli elefanti dell’Antimafia, la Bindi si dà comunque parecchio da fare. Cerimonie, vertici, conferenze stampa locali, comitati per la sicurezza, audizioni nelle province a rischio, attacchi alla criminalità organizzata. Ogni occasione è buona per farsi notare, per lasciare il segno, per rilasciare una dichiarazione sapida e fulminante. Non sempre le riesce, come lunedì scorso, quando ha definito Imperia la «sesta provincia calabrese», provocando contraccolpi campanilistici. O come quando, ingelosendo le altre regioni meridionali, ha chiesto al governo di «adottare la Calabria».
Insomma, s’impegna. E si adatta. Chiaramente il palcoscenico non è più lo stesso, invece del Metropolitan o del Bolshoi ora la Bindi si deve esibire nei teatri parrocchiali. Ma non fa niente, lei è pur sempre a capo di una storica commissione parlamentare. A Montecitorio poi ormai ci si annoia, lo dimostra la foto che l’ha pizzicata mentre faceva le parole crociate con il tablet. «Devo convincerla a giocare a Ruzzle», il commento di Gianni Cuperlo, per breve tempo suo successore alla presidenza del Pd.
Ora la Bindi non frequenta più il Nazareno ma l’Antimafia, questo però non le impedisce di restare nel vivo del dibattito pubblico del Belpaese. Certo, prima guidava l’opposizione a Renzi e le ostilità al Cavaliere, ora invece i suoi interlocutori sono cambiati. Se prima cercava di sbarrare la strada all’eversore Matteo, adesso polemizza con Fabrizio Morri, segretario del Pd di Torino. «Vergogna, a Leini il partito ha appoggiato un candidato sospetto», le sue parole dopo la scelta dei democratici locali di sostenere al secondo turno un medico citato in un’informativa dei carabinieri invece della candidata vicino a Don Ciotti. «Non essere di Libera non vuol dire essere mafiosi», la replica di Morri.
Se prima si batteva contro l’Italicum, «non lo voterò mai», ora si scontra con i penalisti di Palermo, che hanno chiesto le sue dimissioni dalla testa della commissione parlamentare. Oppure, si accapiglia con Alfredo Morvillo, procuratore di Termini Imerese e fratello di Francesca, la moglie di Falcone, e con Lucia Borsellino, la figlia del magistrato ucciso in via D’Amelio. È successo il 23 maggio, durante le rituali manifestazioni in ricordo degli agguati mafiosi. «Credo che questa sia soltanto la solita passerella per tante persone», ha detto Morvillo. E la Borsellino: «Mio padre e Giovanni non hanno mai pronunciato la parola antimafia. Non cambia mai nulla». Rosy però non è stata zitta: «Li rispetto, ma in questi anni sono stati fatti passi avanti».
O infine, quando è riuscita litigare con una provincia intera, Reggio Calabria, perché voleva spostare a Roma l’agenzia per i beni confiscati alla mafia. E Reggio, la città che ha eletto la senese Bindi, non l’ha ancora mandata giù.