Rocco Cotroneo - Luca Valdisseri, Corriere della Sera 10/7/2014; Rocco Cotroneo - Luca Valdisseri, Corriere della Sera 11/7/2014, 10 luglio 2014
BRASILE, OLTRE LA CADUTA
(due articoli) –
Indignazione. Rivolta. Dolore. Frustrazione. Irritazione. Vergogna. Disprezzo. Disillusione. Il giornale Lance lascia al lettore queste scelte e lo invita a farsi da solo la prima pagina che, infatti, è bianca. È il day after. Il 7-1 subito dalla Germania è stato peggio del Maracanazo del 1950. Quella era stata una sconfitta, questa è la sconfessione totale di un modo di fare calcio. La storia è piena di sconfitte, anche clamorose, delle squadre che ospitavano un Mondiale e avevano ambizioni di vincerlo. Il c.t. Löw lo ha ricordato nel dopo partita («Sappiamo bene cosa stanno provando i brasiliani adesso, perché ci siamo passati nel 2006»), ma ha anche fatto presente che il calcio tedesco è rinato proprio da quel Mondiale e da quella sconfitta contro l’Italia, in semifinale, ai tempi supplementari. Il Brasile può fare altrettanto? Se sì, come?
La presunzione
I brasiliani si sentono «o pais do futebol», ma non lo sono più da tempo. Contro la Germania mancavano l’infortunato Neymar e lo squalificato Thiago Silva, riferimento dell’attacco e della difesa. Scolari ha giocato lo stesso con il 4-2-3-1, mettendo in campo il piccolo Bernard (1,62 m e un solo gol in nazionale) anziché coprirsi con tre mediani. Contestato per il suo gioco sparagnino, Scolari è andato incontro alla disfatta per acconsentire al volere popolare: il Brasile non si difende! Lo stesso Brasile che all’Olimpiade di Londra 2012 ha perso la finale contro il Messico pur schierando Thiago Silva, Marcelo, Hulk, Oscar e Neymar.
Senza pubblico
Il Brasileirão non è un campionato competitivo. La media spettatori arriva a fatica a 15 mila a gara. Il Corinthians, la squadra più ricca, fattura 113 milioni di euro l’anno e solo il 10% arriva dalla biglietteria. Lo stadio di Manaus, 42 mila posti a sedere, andrà in eredità a una squadra di quarta serie con una media di 700 spettatori paganti a gara. Anche quelli di Brasilia e Cuiabà sono già soprannominati «elefanti bianchi», cattedrali nel deserto. In Bundesliga resta invenduto solo il 7% dei posti disponibili. In serie A siamo al 44%. Una settimana prima dei Mondiali, al Maracanã, nella partita tra il Botafogo (squadra di Rio) e il Criciuma (sud del Brasile) c’erano 4 mila paganti. I tifosi urlavano ai giocatori, che li sentivano e rispondevano. C’erano quasi più addetti allo stadio che tifosi.
I giocatori a metà
C’è stato un tentativo di trattenere in Brasile i giocatori migliori. Il Santos, aiutato dal Banco di Santander, aveva proposto a Neymar uno stipendio mensile da 1,5 milioni di dollari per farlo restare fino al Mondiale. Neymar ha scelto lo stesso di andare al Barcellona, per cimentarsi con la Champions League. Il Corinthians tentò l’operazione oligarca russo nel 2004, attraverso una società controllata di nascosto da Boris Berezovsky. Finì in poco più di due anni, con strascichi nei tribunali. Nel periodo 2007-2011 le plusvalenze da vendita di calciatori sono diminuite dal 37% al 15%: non è vero che in Brasile si vendono tutti i giovani. I problemi veri sono altri: 1) il monte stipendi è decollato per riportare «ex» come Adriano, Ronaldinho, Pato e Kakà, in prestito per sei mesi al San Paolo; 2) i cartellini sono spesso frazionati e non più in mano ai club. Il cileno Aranguiz, uno dei più positivi al Mondiale, era stato scovato dall’Udinese all’Universidad de Chile. Poi i friulani lo hanno prestato all’International di Porto Alegre, con riscatto a 8 milioni. Il club brasiliano non aveva i soldi, ma si è fatto aiutare dal magnate dei supermarket Delcir Sonda, che adesso detiene il 70% di Aranguiz.
I calendari
In Brasile un calciatore può giocare 80-90 partite all’anno, tra i campionati statali (ai tempi di Pelé esistevano solo quelli), il nazionale, la Coppa, i due tornei continentali, più una serie di altri minori. Gli spostamenti sono lunghi, si spendono un sacco di soldi a fronte di pochi spettatori, le ferie sono brevissime. E i calendari sono sfalsati con quelli europei. Un movimento di calciatori, il Bom Senso F.C., vuole cambiare le cose, minaccia scioperi ed è già stato ricevuto dalla presidentessa Dilma. Ce la faranno?
(1/ continua)
Rocco Cotroneo
Luca Valdiserri
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Se sette gol sono peggio di uno, e la vergogna è più cocente dell’eliminazione, in molti oggi in Brasile si augurano che la disfatta di Belo Horizonte serva a ricostruire dalle macerie tutto il sistema futebol brasiliano. Tutto è vecchio, antiquato, in mano a centri di potere che si autoriproducono. I club, polisportive di soci come negli albori — quelli di Rio portano ancora nel nome il canottaggio dal quale sono sorti — sono oggetto di lotte di potere, spesso collegate alla politica locale. Ogni gestione lascia alla successiva una marea di debiti, i giocatori più importanti finiscono per essere creditori, con il potere di interdizione che questo comporta. La Federcalcio locale, la Cbf, è un altro gruppo chiuso, che procede per autogenesi. Basti pensare che per quasi mezzo secolo è stata in mano di fatto a due persone, João Havelange (a lungo poi presidente della Fifa), e poi il genero Ricardo Teixeira, entrambi finiti nel mirino della giustizia per presunti arricchimenti con gli sponsor e i diritti tv.
L’altra grande padrona del calcio brasiliano è la Rede Globo , detentrice da sempre dei diritti di trasmissione, senza concorrenti. Gli orari delle partite sono fissati sulla base del suo palinsesto, e non viceversa. Un esempio: spesso in Brasile si gioca dopo le 22, per non disturbare la telenovela in prime time. Le proteste dei giocatori cadono nel vuoto. Lo stesso è avvenuto in questo Mondiale, ma la Globo esercita la sua enorme influenza (tocca il 60-70 per cento dello share nazionale) anche nelle partite della Seleção che si svolgono lontane dal Brasile. Alle 20.30 locali, per esempio, non la si vedrà mai giocare. I conflitti di interesse non si contano: Ronaldo è sia membro del comitato organizzatore del Mondiale, emanazione della Cbf, sia commentatore della tv Globo . Il sistema «annette» quasi tutti gli ex idoli più popolari.
Il fatturato
Per questi ed altri motivi, il calcio di Rio de Janeiro è ai margini nello scenario nazionale, con successi sul campo sempre più rari. Idem nel Nordest, dove le consorterie locali sono ancora più potenti, mentre le cose vanno un po’ meglio a San Paolo, Belo Horizonte e nel sud del Brasile, dove la gestione è più manageriale. Il Corinthians è, da tempo, la società più ricca del Brasile. Guida, nettamente, la classifica del fatturato che, nel 2012, è arrivato a 113 milioni di euro. Peccato che nella classifica mondiale sia al 23° posto. Il Santos, nel 2012, ha fatturato 73,1 milioni (con 8,8 legati alla cessione di Ganso al San Paolo). Poi sono arrivati anche i soldi di Neymar.
Il Brasileirão, serie A nazionale, dal 2007 al 2011 ha aumentato del 98% il fatturato. Un bel risultato sulla carta. Peccato che siano aumentati con la stessa proiezione anche i debiti. La composizione delle entrate è schizofrenica. Dal 2008 al 2011 gli introiti da diritti tv sono passati dal 24% al 40%, la biglietteria è calata dal 13% all’8%, le plusvalenze da cessioni di giocatori sono scese dal 27% al 14%. Marketing e merchandising sono rimasti stabili. La crescita, insomma, nasce solo dalle tv.
Il merchandising
In Germania si vendono 1.782.000 magliette (dati da: «Il calcio conta», di Teotino, Uva e Donna, edizioni Bur/Eri), in Italia 1.104.000 e in Brasile non c’è un dato certo. Il Bayern riceve da sponsorizzazioni e commerciale 237,1 milioni di euro, il Milan 96,2 e il Corinthians 23,5. L’Allianz Arena è di proprietà di una società controllata al 100% del Bayern Monaco, che ha rilevato anche le quote del Monaco 1860, che gioca nello stadio le sue partite pagando un canone di affitto. Biglietti esclusi, incassa oltre 50 milioni a stagione. In teoria il Corinthians dovrebbe restituire allo Stato i prestiti urgenti senza i quali il suo stadio nuovo costruito per i Mondiali non sarebbe mai stato ultimato, così come i club locali a Curitiba e Porto Alebre. Probabilmente non lo faranno mai.
La formazione
In Germania, dopo il crollo all’Europeo 2000 (un punto nella fase a gironi, un solo gol segnato), Federcalcio e Bundesliga hanno messo a punto un programma per rivitalizzare i vivai. È stato introdotto, obbligatoriamente, il sistema della Academy (studiato su modelli francesi e olandesi): strutture giovanili di primo livello per infrastrutture, budget, qualità e quantità degli staff tecnici impiegati a tempo pieno. A 10 anni dall’introduzione (fonte: «Il calcio ai tempi dello spread», Teotino e Uva, Il Mulino editore) questi sono stati i risultati: dei 525 giocatori impegnati nella Bundesliga 2010-2011 il 52,4% (275) era stato formato dalle Academy. Migliorando conti, monte ingaggi, carta d’identità, fidelizzazione della tifoseria, bacino in cui possono pescare le squadre nazionali. Il Brasile è da sempre esportatore di calciatori, ma la formazione è lasciata spesso al caso. Il talento non viene raffinato e, proprio per questo, come avviene in tutti i settori commerciali, la vendita della materia prima viene spesso fatta a prezzo di costo. Non c’è valore aggiunto.
(2/fine)
Rocco Cotroneo
Luca Valdiserri