Sergio Romano, Corriere della Sera 10/7/2014, 10 luglio 2014
Rimangono rarissimi esemplari di una targa che il regime fascista fece collocare in tutti i municipi a ricordo delle sanzioni economiche imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni per avere aggredito l’Etiopia
Rimangono rarissimi esemplari di una targa che il regime fascista fece collocare in tutti i municipi a ricordo delle sanzioni economiche imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni per avere aggredito l’Etiopia. La lastra riporta la scritta: «18 Novembre 1935 - XIV - A ricordo dell’assedio perché resti documento nei secoli dell’enorme ingiustizia consumata contro l’Italia alla quale tanto deve la civiltà di tutti i continenti». I giovani che la leggono non si raccapezzano. Ci chiarisce le idee? Alessandro Prandi alessandro.prandi51@ gmail.com Caro Prandi, la data del 18 novembre, all’inizio della targa, è quella del giorno in cui la Società delle Nazioni concluse un dibattito, iniziato l’11 ottobre, sulle misure con cui il maggiore organismo internazionale avrebbe «punito» l’attacco dell’Italia contro l’Etiopia, il 3 ottobre 1935. Esiste un antefatto che vale la pena di ricordare. Qualche mese prima, il 27 giugno, erano apparsi nella stampa internazionale i risultati di un sondaggio sulla pace, commissionato dai maggiori giornali della Gran Bretagna. Su un totale di undici milioni e mezzo di cittadini britannici interpellati, dieci milioni si erano dichiarati favorevoli alla riduzione universale degli armamenti e altrettanti all’imposizione di sanzioni economiche contro chiunque si fosse reso responsabile di un atto d’aggressione. I membri della Società delle Nazioni ritennero che quel sondaggio rappresentasse abbastanza fedelmente i sentimenti della società europee e ne tennero conto. Scartarono l’ipotesi delle sanzioni militari e si limitarono a vietare l’esportazione verso l’Italia di armi, munizioni e, più generalmente, di prodotti e materie prime utili alle operazioni militari come il ferro, l’acciaio, il rame, il piombo, lo zinco, il cotone, la lana, il petrolio. Gli effetti pratici dell’embargo furono molto modesti. Gli Stati Uniti non l’osservarono e continuarono a vendere il loro petrolio all’Italia. La Gran Bretagna si considerò vincolata da un trattato che le imponeva di tenere aperto il canale di Suez anche in caso di guerra, e non oppose alcun ostacolo alla passaggio delle navi che trasportavano truppe italiane verso il teatro delle operazioni. Ma per i servizi di propaganda del regime le sanzioni furono il migliore dei regali possibili. Fornivano argomenti che si rivelarono, soprattutto nella società italiana, piuttosto efficaci: le maggiori potenze coloniali vietavano all’Italia ciò che avevano già abbondantemente fatto per se stesse in passato; gli italiani erano vittime di pregiudizi e discriminazioni; l’ipocrisia e il moralismo della diplomazia internazionale non tenevano alcun conto delle esigenze sociali di un Paese affamato di terra e lavoro. Accadde così, paradossalmente, che le sanzioni contribuissero e rendere il regime molto più popolare di quanto fosse stato negli anni precedenti. Ne dette una prova l’entusiasmo con cui una larga parte della società partecipò a una campagna per la donazione di «oro alla patria». Quanto alle targhe dei municipi, là dove ancora esistono, spetta ai sindaci e ai loro elettori decidere se conservarle o rimuoverle. A me, tuttavia, sembra che dovrebbero essere conservate. Una nazione non dovrebbe mai buttare via il suo passato. Conservarne le tracce anche quando gli eventi ricordati sono controversi, è un segno di maturità.