Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 10/7/2014, 10 luglio 2014
L’AUTOGOL DEL SOSPETTATO. UN NUOVO VIDEO: ERA DAVANTI ALLA PALESTRA
Potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol la scelta di Massimo Giuseppe Bossetti di farsi interrogare per cercare di spiegare come mai il suo Dna fosse sugli indumenti intimi di Yara Gambirasio. Un errore tattico nella partita che la difesa sta giocando con l’accusa in vista di un processo che potrebbe arrivare in tempi brevi se i pm confermeranno, come pare, la decisione di procedere con rito immediato. Perché l’uomo accusato di aver catturato, abusato e lasciato morire la ragazzina nel campo di Chignolo d’Isola, ha riconosciuto la validità della prova e così ha ammesso di essere «Ignoto 1». E lo ha fatto probabilmente senza sapere che le verifiche effettuate nelle ultime ore hanno fornito agli investigatori ulteriori elementi per dimostrare la sua presenza vicino al Centro Sportivo di Brembate Sopra poche decine di minuti prima che Yara fosse portata via. I filmati trovati in una nuova telecamera montata su una stazione di servizio riprendono il suo furgone a pochi metri dalla palestra dove Yara si trovava quel pomeriggio del 26 novembre 2010.
Il nuovo video e il catarifrangente
È un altro tassello nel mosaico che carabinieri e polizia stanno componendo in vista della richiesta di giudizio che il sostituto procuratore Letizia Ruggeri potrebbe presentare già a metà settembre, quando scadranno i termini per procedere con il rito veloce, saltando l’udienza preliminare. Una procedura prevista quando l’accusa ritiene di avere «prove evidenti» sulla colpevolezza dell’indagato. Sono pochi fotogrammi, ritenuti però decisivi per ricostruire un altro pezzo del percorso che Bossetti avrebbe compiuto quella sera prima di adescare la sua vittima. Sinora si era parlato di telecamere piazzate su una banca. Scorrendo le decine di video sequestrati il giorno dopo la scomparsa della ragazzina, i carabinieri del Ros hanno evidenziato alcuni fotogrammi catturati da una telecamera che si trovava all’interno del distributore di benzina, di fronte al centro sportivo. E hanno scoperto che il furgone Iveco del muratore è transitato su quella strada. L’identificazione del mezzo è avvenuta attraverso un particolare catarifrangente montato dallo stesso Bossetti, che è diverso da quelli di serie. Un accessorio che combacia perfettamente con quello montato sul suo furgone. E fa ulteriormente vacillare la versione fornita durante il primo interrogatorio davanti al giudice Ezia Maccora.
L’incrocio degli orari
Tra gli indizi che hanno convinto il gip a firmare l’ordinanza di custodia cautelare per omicidio, oltre al Dna, ci sono la calce rinvenuta nei polmoni e sui vestiti della vittima (che sin da subito aveva indirizzato le ricerche dell’assassino verso chi lavora nell’edilizia) e soprattutto il fatto che il cellulare di Bossetti agganci la «cella» telefonica del Centro Sportivo alle 17,45, esattamente un’ora prima che Yara sparisca e agganci la stessa «cella». «Posso essere passato da quella strada per tornare a casa dal lavoro», si è giustificato l’indagato. La sua versione appare ora molto più fragile visto che la telecamera del benzinaio riprende il furgone in transito circa un quarto d’ora dopo accreditando l’ipotesi — già formulata dagli investigatori — che il muratore stesse girando intorno alla palestra, che stesse aspettando l’uscita della ragazzina come avrebbe fatto anche nei giorni precedenti quando il suo telefonino risulta aver agganciato le stesse «celle» e sempre in orari compatibili con la presenza di Yara all’interno del Centro.
La giustificazione sul sangue
A tutto questo si aggiunge la giustificazione che Bossetti ha fornito circa la presenza del suo sangue all’interno degli slip e dei leggins della vittima. Raccontando di soffrire di epistassi e di aver potuto sporcare di sangue un taglierino che sarebbe stato poi usato da altri, l’indagato ha fornito una versione non credibile e soprattutto ha ottenuto l’effetto paradossale di consegnare un nuovo elemento all’accusa. Ha riconosciuto infatti in un verbale compilato davanti al pm che quella traccia di sangue è effettivamente sua, senza contestare la validità dei test effettuati. A questo punto il giudice potrebbe avere motivi validi per respingere l’istanza annunciata dai suoi legali per chiedere la ripetizione delle analisi effettuate per estrarre il Dna dagli indumenti di Yara, non ritenendola più indispensabile.
Fiorenza Sarzanini