Alessandro Barbera, La Stampa 10/7/2014, 10 luglio 2014
OPERAZIONI SOSPETTE CON I BITCOIN
Pecunia non olet, d’accordo. Se però la pecunia nemmeno si vede può essere un problema. Il primo rapporto pubblico dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia dice che il Bitcoin in circolazione ammonta ormai ad un controvalore di sei miliardi di euro. La moneta virtuale inventata nel 2009 negli Stati Uniti è comoda: è facile trovarla - ci sono piattaforme specializzate per l’acquisto - e una volta comprata può essere scambiata con qualunque bene o valuta. Il problema è che il valore del Bitcoin è «estremamente volatile e - dicono gli esperti della Banca d’Italia - espone a significativi rischi di speculazione». Inoltre «non risulta vi siano garanzie o forme di controllo che tutelino i clienti e le società dal rischio di appropriazioni indebite». Alla Uif sono convinti che la criminalità organizzata abbia trovato nel Bitcoin una grande opportunità di riciclaggio. Segnalano «operazioni sospette» con «anomale compravendite di Bitcoin realizzate per mezzo di carte di pagamento o in contante con controparti estere». Meglio affidarsi alla cara e vecchia moneta? Il problema non è quasi mai il mezzo, semmai il fine.
Le segnalazioni di operazioni sospette ricevute l’anno scorso dalla Uif sono state 64.601, il 3,6 per cento in meno dell’anno precedente. In termini assoluti l’ammontare complessivo è cresciuto: erano 77 miliardi nel 2012, sono stati 84 l’anno scorso. La prima Regione italiana per segnalazioni sospette è la Lombardia: 12.396, oltre il 18 per cento, quasi una su cinque. Poi viene il Lazio (9.801 segnalazioni, il 14,2 per cento), la Campania (l’11,1 per cento), il Veneto e l’Emilia, entrambe con il 7,7 per cento. Quasi una segnalazione su due - il 43 per cento - ha riguardato importi inferiori ai 50 mila euro. Lo strumento preferito per le operazioni sospette illegali resta il contante: il 30,8 per cento del totale. Seguono i bonifici bancari - il 22,9 per cento - solo il 7,2 per cento bonifici esteri, il 6,5 per cento ha riguardato lo scambio di assegni circolari.
Fa impressione constatare la semplicità con la quale le autorità di vigilanza sono ormai in grado di verificare i bonifici da e verso i Paesi a fiscalità privilegiata, o veri e propri paradisi fiscali. Il Paese preferito resta la Svizzera: i flussi in entrata valgono più di quaranta miliardi, quelli in uscita oltre 35. Seguono Hong Kong (oltre cinque miliardi in entrata e in uscita), la Turchia (oltre otto miliardi in entrata, circa cinque in uscita), e ancora Singapore, Abu Dhabi, Algeria, Dubai, San Marino, Taiwan. Ultimo nella testa della classifica è - strano ma vero - il Principato di Monaco.
La stragrande maggioranza delle operazioni sospette segnalate alla autorità - oltre il novanta per cento - sono arrivate dalle banche o dalle Poste. Dai professionisti sono partite meno di duemila segnalazioni, quasi tutte da parte dei notai. A zero o quasi le segnalazioni degli uffici della pubblica amministrazione: l’Uif lo scrive in modo diplomatico, la sintesi è quella. Eppure nel solo 2013 l’Unità ha ricevuto 600 segnalazioni sulla corretta destinazione di finanziamenti pubblici. «Dall’analisi delle operazioni segnalate difficilmente emergono elementi oggettivi di corruzione», semmai «sproporzione tra il tenore di vita e il reddito dichiarato».
Per garantire l’anonimato viene fatto uso di «mandati fiduciari, costruzione di catene societarie complesse e schermate attraverso trust». Ogni riferimento a persone o inchieste giudiziarie in corso è naturalmente e puramente casuale.
Twitter @alexbarbera