Massimo Bucchi, la Repubblica 10/7/2014, 10 luglio 2014
LE CITTA’ INVISIBILI CHE ESISTONO SOLO SU GOOGLE MAPS
Se state pensando ad una vacanza “alternativa”, prima di partire vi conviene fare un colpo di telefono al professor Alastair Bonnett. Mettiamo ad esempio che vogliate andare a Sandy Island, un’isola del Mar dei Coralli tra Australia e Nuova Caledonia, lunga 25 chilometri e larga 5. Promettente no? Peccato solo che Sandy Island non esista, sebbene per oltre un secolo sia stata su migliaia di carte geografiche e perfino su Google
Maps.
Nel 2012, la nave di un gruppo di scienziati impegnati a studiare l’evoluzione tettonica di quell’area si è trovata a passare dove l’isola sarebbe dovuta essere, ma proprio non c’era: mare, profondo 1400 metri. Come si spiega questo colossale abbaglio? La loro ipotesi è che alcuni navigatori possano aver avvistato un aggregato di pietra pomice legato all’eruzione di un vulcano. Così, non senza un certo senso dello humour, la rivista scientifica dell’American Geophysical Union ha pubblicato un “necrologio” di Sandy Island, certificandone la cancellazione. Bonnett insegna geografia sociale all’Università di Newcastle e la sua specialità sono le “aberrazioni geografiche”. Il suo libro più recente, Off the Map, non è un nuovo catalogo di luoghi immaginari creati dalla fantasia di scrittori – come le città invisibili di Calvino, la Erewhon di Samuel Butler o la Gotham City di Batman – né una riflessione su non luoghi e spazi interstiziali nel solco di studiosi come Marc Augé. È invece un vero e proprio tour tra 47 località, così le definisce l’autore, «irregolari e indisciplinate », come Sandy Island. D’altronde, è noto come errori o malintesi geografici possano perpetuarsi e alimentarsi. Ad uno dei più clamorosi della storia lo scrittore Stefan Zweig ha dedicato il suo Amerigo, il racconto di un errore storico . Vi ricostruisce le rocambolesche vicende che por-
tarono a indicare l’America con un nome legato ad Amerigo Vespucci, che non l’aveva scoperta né aveva mai affermato di esserci arrivato per primo; anzi probabilmente non venne mai neppure al corrente di questa attribuzione. A suggerire la denominazione furono tre righe inserite nel 1507 in una pubblicazione da un giovane geografo e matematico; trent’anni dopo il cartografo fiammingo Mercatore coprirà con la scritta “America” la mappa del continente: tre lettere sul Nord,
quattro sul Sud.
Qualche anno fa si scoprì che la cittadina inglese di Argleton, ben visibile su Google Maps e Google Earth nel West Lancashire, non era mai esistita. Google attribuì il fatto a un errore materiale nei propri database, ma nel frattempo Argleton aveva acquisito una diffusa esistenza virtuale, con centinaia di migliaia di ricerche e discussioni online, registrazione di domini web e perfino iniziative di merchandising (magliette e tazze dedicate all’inesistente località). Secondo Jerry Brotton, docente alla Queen Mary University of London e autore di Una storia del mondo in dodici mappe, simili vicende dovrebbero farci riflettere sugli aspetti più critici della rivoluzione portata in questi anni dalle mappe digitali. «Dopo duecento anni in cui la realizzazione di mappe era guidata dagli stati, essa torna ora nelle mani dei privati. Nessuna organizzazione governativa sarebbe oggi in grado di gestire la quantità di informazioni accumulata da Apple o Google; ma a guidare questa nuova era delle mappe sono gli imperativi dell’e-commerce, più che il confronto con la realtà fisica ». Perfetto contraltare di isole e località inesistenti sono cittadine assai reali, ma assenti dalle mappe. È il caso di città segrete come l’odierna Zheleznogorsk, creata nel 1950 dall’Unione Sovietica come centro di produzione di armi al plutonio e mantenuta segreta per quarant’anni: aveva abitanti, edifici, negozi e un sindaco, ma neppure un vero e proprio nome (agli addetti ai lavori era nota tra l’altro come «città atomica»). Ma non pensate di poterla visitare: ancora oggi, anche su richiesta dei circa 80.000 residenti che pare ne apprezzino la quiete, è una città chiusa protetta da un checkpoint; cercandola sulle mappe digitali compare una spettrale costellazione di puntini.
Vera e propria città fantasma era invece Kijong-Dong, sul versante nord della zona smilitarizzata tra Nord e Sud Corea. Luci accese e strade pulite per propagandare un’immagine positiva del regime nordcoreano, ma nessun essere umano ci si era mai stabilito. Se volete invece sentirvi felicemente e confusamente europei, potete farvi un giro dalle parti di Baarle, dove i confini tra Olanda e Belgio si intrecciano continuamente, anche nella stessa strada, e «lo Stato in cui si pagano le tasse dipende essenzialmente dal lato su cui si trova la vostra porta d’ingresso».
Ma il caso forse più clamoroso è quello di Agloe. Dagli anni Trenta le mappe riportano questa località nello stato di New York, tra Rockland e Beaverkill. Ma è una città su carta, una trappola creata ad arte da due cartografi, Ernest Alpers e Otto G. Lindberg (il nome della cittadina è composto mescolando le loro iniziali), stanchi di essere plagiati da altri editori. E nella trappola casca quasi subito un pezzo grosso, il colosso delle mappe Rand McNally, che nella sua cartina di New York riporta l’inesistente Agloe nell’identica, immaginaria posizione. In tribunale, però, la difesa si appiglia al fatto che Agloe, in effetti, esiste, anche se si limita ad un unico edificio: il supermercato, Agloe General Store, appunto. Alpers e Lindberg sono scioccati: Agloe non esiste, l’hanno inventata loro! Come può esserci un supermercato? Il fatto è che i proprietari del supermercato si sono fidati di una mappa della Esso, anch’essa evidentemente copiata da quella volutamente “sbagliata”. E quando si è trattato di dare un nome al supermercato, gli è sembrato naturale dare quello del posto. Così, ha scritto un commentatore, «il nome inventato di un posto inventato ha creato alla fine un luogo reale». Il supermercato ha chiuso qualche tempo dopo, ma la località fantasma ha resistito. Ancora qualche mese fa la si poteva trovare su Google Maps, con tanto di indicazioni per raggiungerla e codice postale. La sua rimozione conclude, almeno temporaneamente, la bizzarra storia di una città che prima non esisteva, poi sì, e poi ancora no. In ogni caso se decidete di fare una gita in uno di questi posti, non dimenticate di mandare una cartolina. E se non ne trovate una vera, inventatevela pure.