Natalia Aspesi, la Repubblica 10/7/2014, 10 luglio 2014
L’ELEGANZA SENZA TEMPO DI RE GIORGIO
Anche tra cent’anni, quel marchio continuerà a invadere il mondo, segnalerà l’esclusività di giacche e profumi, di cioccolatini e divani, di alberghi di lusso e di jeans, di smartphone e di scarpe, di occhiali e di borse, di appartamenti principeschi al centesimo piano nel deserto e di marmellate, di toilette da tappeto rosso e di cucine da yacht immensi. È così che Giorgio Armani si è conquistato un regno senza confini, da Parigi a New York, dal deserto del Gobi al Kazakistan, da Pechino a Vladivostok. Ma soprattutto si è assicurato quell’eternità indistruttibile che gli anni umani non possono promettere né mantenere.
Era, forse è tuttora il suo cruccio, per lui appassionato di quella luce, di quella leggerezza, di quella certezza di futuro che sono il tesoro breve della giovinezza: quel passare degli anni che paiono ancora oggi non toccarlo, tenuti a bada come una sfida, con impegno sovrumano: un corpo muscoloso che se lo sfiori ti viene un livido, bei capelli bianchi da decenni, abbronzatura perfetta, occhi azzurri fiammeggianti, quel sorriso che spezza il cuore alle giovani giornaliste già alla terza generazione, e da sempre, per inevitabile tradizione, abilissime alla fine di ogni sfilata, nel mettersi docilmente in fila per andare a baciare la mano al loro idolo: l’uomo che più di trent’anni fa aveva tolto agli uomini un’ormai inutile abito-corazza per renderli consci dei poteri e dell’estetica del loro corpo, e aveva liberato la donne dai fronzoli di una femminilità sottomessa ma anche da una loro virilizzazione dentro tremendi tailleur da carriera, che banalizzandole le rendevano invisibili e quindi non pericolose negli uffici.
Lo ricordo, Giorgio Armani, quando era solo un bell’uomo silenzioso e schivo, rifugiato in due locali presi in affitto in corso Venezia, assieme al socio e compagno Sergio Galeotti, tanto più ambizioso e coraggioso, e a Irene, una giovanissima impiegata tuttofare: affitto annuo un milione e mezzo di lire, capitale magrissimo. Stava nascendo, in quel silenzio appartato, un impero mercantile che si sarebbe esteso nel mondo e oltre alla moda; in quel momento estraneo alla moda trionfante parigina, romana, e alle prime coraggiose case milanesi sulle passerelle fiorentine, che si appoggiavano all’industria per creare un mercato raffinato e creativo, adatto a una nuova classe borghese meno ricca ma più spendacciona e sempre più pazza per la moda. La prima esigua sfilata col suo nome in un albergo milanese entusiasmò soprattutto la stampa straniera sempre più curiosa della nostra. Qualche decennio di trionfi e oggi un Armani instancabile e sicuro, uno dei pochi a non essersi legato a banche o altri soci e ad aver sempre rifiutato di vendere il suo impero, un Armani che ancora oggi si occupa di tutto, anche del colore del packaging e della forma dei cioccolatini e dell’Armanità ideale di altre centinaia di prodotti col suo marchio, non ha avuto alcun momento di crisi e adesso può dichiarare un ricavo consolidato di 2.091 miliardi di euro: Armani produce in 12 stabilimenti di sua proprietà, i dipendenti sono 6.500, 2.203 i negozi, non c’è grande star che non compaia con un suo abito, dalla collezione Privè, ritorno all’alta moda, alla sportiva Armani Jeans.
Ora di riposare? Per carità, l’immensa ricchezza lui se la gode lavorando e facendosi una casa meravigliosa qua o là, a St Moritz e a Saint Tropez, a Forte dei Marmi e ad Antigua a Pantelleria e a Broni. Le sue barche sono sempre più immense, arredate non per eventuali tempestose traversate oceaniche ma come gli alberghi che nel mondo portano il suo nome, anche perché si sospetta che per lui piacentino appassionato delle grandi metropoli, il mare non sia che un omaggio al proprio prestigio, su cui invitare gli amici, sempre gli stessi, i fedelissimi della mondanità, che è poi la condizione di vita che più gli fa orrore: ci hanno provato a centinaia a Milano o a New York, a invitarlo nei loro attici, ma quello non è mai stato il suo mondo, per timidezza o superbia.
Giorgio Armani ha attraversato la storia mentre studiava come vestirla quando sarebbe arrivato il momento giusto, superò in silenzio gli anni della città arrabbiata, delle strade invase dalla polizia in assetto di guerra e dai cortei furibondi di studenti, del succedersi di otto governi a guida democristiana, del terrorismo e della clandestinità, (a Roma Aldo Moro e i suoi 5 uomini di scorta furono rapiti e assassinati dalle Brigate Rosse nel 1978), delle femministe con zoccoli e gonnelloni e dei ragazzi con la kefia al collo. Li aspettava il ritorno a una vita diversa, che gli stilisti avrebbero vestito. Quando Time nel 1982, consacrò Giorgio Armani nel mondo, dedicandogli una copertina famosa, stava dilagando la tragedia dell’Aids, che colpì a morte molta gente della moda, compreso il geniale socio di Armani, Sergio Galeotti. Ormai solo, Armani scoprì che avrebbe potuto impadronirsi di tutto, occuparsi di tutto, con una maestria e forse un’arroganza che lui stesso non aveva immaginato.
Oggi il marchio Armani è in cima ai desideri di chi pensa di contare, che basti una borsa o un portaocchiali per entrare nel privilegio. Questo impero è senza confini, abitato da milioni di persone. È un bel regalo saperlo; 11 luglio, buon compleanno Giorgio.