Federico Rampini, la Repubblica 10/7/2014, 10 luglio 2014
L’AUTUNNO DI OBAMA
«More Jobs, Less War, Low Polls: The Obama Disconnect». La Cnn descrive così la stupefacente «sconnessione» tra i risultati di Barack Obama e il giudizio degli americani. Più occupazione, meno guerre, sondaggi a picco. «Con l’economia in crescita da cinque anni, una Borsa ai massimi storici, di solito arrivano alti consensi — constata il servizio della Cnn — . Riportare a casa i soldati dal fronte ha sempre rafforzato la popolarità dei nostri presidenti. Non questa volta, non con questo presidente».
Il più duro da ingoiare fra tutti i sondaggi negativi è quello dell’autorevole Quinnipiac University. Obama ne viene fuori come «il peggior presidente dalla seconda guerra mondiale». Lo considerano tale il 33% degli intervistati. Hanno meno giudizi negativi di lui perfino George W. Bush (28%), Richard Nixon che dovette dimettersi per lo scandalo Watergate (13%) e Jimmy Carter, distrutto dalla crisi degli ostaggi a Teheran (8%). Mike Allen, blogger di Politico.com e uno dei più acuti analisti politici, sottolinea un altro numero allarmante: «Il 54% considera Obama incompetente come uomo di governo, e questa percentuale va al di là del tradizionale schieramento di destra». Lo stesso presidente vede la “sconnessione” di cui parla Cnn.
Nell’ultimo mese l’economia americana ha creato altri 288.000 posti di lavoro, «ma troppi americani — riconosce Obama — sono ancora in difficoltà; io spero che capiscano, anche alla luce di questi numeri, che siamo nella direzione giusta».
A conferma che la situazione è grave, Hillary Clinton sta cominciando a prendere le distanze dal presidente che la nominò segretario di Stato. «La maggioranza degli americani — dichiara lei — non pensa che la ripresa economica degli ultimi cinque anni li abbia aiutati». Con cautela e diplomazia, la frase è una critica del bilancio di questa Amministrazione. La Clinton sta vivendo il dilemma tipico del (futuro) candidato che succede a due mandati di un presidente del suo stesso partito: conviene rivendicare continuità,
o invece è indispensabile prendere le distanze? Meno diplomatica è la leader della destra populista Sarah Palin, ex candidata vicepresidente nel 2008: «È ora di avviare l’impeachment di Obama». Le ragioni per l’impeachment variano a ogni stagione, questa volta l’incriminazione dovrebbe scattare per la crisi degli immigrati clandestini che affluiscono dal Sud. La Palin omette un dettaglio: l’attuale emergenza-clandestini, con gli arrivi di minorenni che sperano di ottenere la regolarizzazione, è legata a una legge permissiva varata nell’ultimo anno di presidenza Bush.
Nel bilancio disastroso dei sondaggi su Obama influiscono una serie di sconfitte, interne o di politica estera. La Corte suprema a maggioranza repubblicana gli ha appena inflitto due colpi: ha autorizzato l’obiezione di coscienza dei padroni se «per ragioni religiose» non vogliono pagare ai propri dipendenti l’assistenza sanitaria che includa anticoncezionali e interruzioni di gravidanza; gli stessi giudici costituzionali hanno ridotto i diritti sindacali nel pubblico impiego. Le più importanti riforme di Obama — aumento del salario minimo e nuove regole per l’immigrazione — sono arenate al Congresso, dove la destra controlla la Camera e non gli fa passare nulla. Sempre alla Camera i repubblicani usano la propria maggioranza per moltiplicare le commissioni d’inchiesta su scandali veri o presunti: ultimo in data è l’affaire degli accertamenti fiscali mirati contro organizzazioni politiche vicine alla destra (in realtà quelle organizzazioni abusano dei privilegi fiscali, raccolgono donazioni esentasse che usano in modo illecito).
All’estero le difficoltà sono perfino maggiori. Obama è stato accusato di avere “perso”, a turno, prima la Crimea e poi l’Iraq. L’escalation tra il governo israeliano e Hamas nella striscia di Gaza mette a nudo l’inutilità delle mediazioni Usa in Medio Oriente. In generale l’egemonia globale degli Stati Uniti viene percepita in declino. Un giornale tradizionalmente amico come il New York Times pubblica un commento intitolato: «La politica estera di Obama è troppo europea?». La tesi: «Il presidente ha voluto abbracciare l’approccio europeo fondato sul soft power nelle relazioni internazionali. Ma non funziona».
Una parte dei guai di Obama è la conseguenza di una crisi del sistema politico. L’America soffre per la sindrome che The Economist ha definito il “Mito Presidenzialista” (un male comune con la Quinta Repubblica francese). La sua Costituzione crea l’illusione che la Casa Bianca sia onnipotente. Le aspettative sull’esecutivo sono enormi. In realtà gran parte dell’attività di governo — e tutto ciò che riguarda la politica di bilancio — si ferma se il Congresso non ci sta. Anche la Corte suprema ha poteri di veto e d’indirizzo molto estesi. Tutto questo genera frustrazioni e delusioni infinite in una congiuntura politica come quella attuale: con una polarizzazione estrema, e una destra che fin dal primo Inauguration Day (gennaio 2009) si è data come obiettivo principale quello di «abbattere Obama». Lontani sono i tempi delle convergenze bipartisan che consentirono a Ronald Reagan di negoziare grandi riforme con il presidente democratico della Camera, Tip O’Neill.
C’è un’altra causa dell’impopolarità di Obama, evocata dal commento di Hillary Clinton sulla ripresa. La «sconnessione » che cita la Cnn ha qui la sua spiegazione. È vero, l’America entra nel suo sesto anno consecutivo di crescita economica. Qualsiasi leader europeo sarebbe felice di esibire una simile performance. E tuttavia questa ripresa è molto diseguale nella ripartizione dei benefici. Il reddito della famiglia media americana oggi è più basso del 3,7% rispetto al livello del 2009, quando la nazione era nel mezzo della recessione. Per questo una parte dei giudizi severi su Obama vengono dalla sua constituency di sinistra, da quei lavoratori che si aspettavano molto di più, quelli che la ripresa la vedono nelle statistiche ma non nelle proprie buste paga.
È possibile che il giudizio futuro sia più clemente verso Obama. A consolarlo c’è questo dato: oggi il secondo miglior presidente della storia (nello stesso sondaggio Quinnipiac) è Bill Clinton, che invece alla fine della sua presidenza era odiato da metà degli americani, macchiato da scandali e quasi-impeachment. Ma perché il bilancio su Obama possa migliorare in futuro, qualcosa deve cambiare nel capitalismo americano.