Paolo Rodari, la Repubblica 10/7/2014, 10 luglio 2014
ITALIANI ESTROMESSI DALLE STANZE DEI BOTTONI
Che allo Ior, e più in generale all’interno delle finanze vaticane, stia per iniziare una nuova epoca nella quale gli italiani sono relegati sempre più ai margini lo evidenzia una frase pronunciata ieri dal cardinale George Pell, capo della Segreteria per l’Economia del Vaticano, il nuovo super ministero finanziario: «Le accuse al cardinale Tarcisio Bertone relativamente alle finanze vaticane — il riferimento è al fondo di 15 milioni di euro passato dallo Ior alla società televisiva Lux vide, ndr — saranno considerate seriamente e efficientemente e appropriatamente dalle autorità competenti».
Parole dure, che se non sono un impeachment per l’ex segretario di Stato vaticano (nonché fino a pochi mesi fa presidente della commissione di vigilanza dello Ior) suonano come una presa di distanza importante dall’ex braccio destro di Ratzinger. Anche se, in realtà, è tutto un mondo a essere esautorato: non solo personaggi come Nunzio Scarano, l’ex contabile dell’Apsa accusato di riciclaggio per un giro di false donazioni. Ma anche coloro che hanno usato lo Ior per portare avanti interessi propri. Il caso Lux Vide, in fondo, questo racconta. Il tentativo, riuscito, di aiutare (senza dolo, ma con evidente sfregio degli interessi della Chiesa) i soliti amici.
Pell ha spinto per internazionalizzare le finanze togliendo potere agli italiani. Dopo la nomina di una nuova commissione di vigilanza sullo Ior nella quale, a parte il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, sono tutti stranieri (ne fanno parte i cardinali Josip Bozanic di Zagabria, Santos Abril y Castello arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore, Thomas Christopher Collins di Toronto, Christoph Schönborn di Vienna e Jean-Louis Tauran presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso), anche il nuovo consiglio dello stesso Istituto non parla più italiano.
I nuovi membri, oltre al presidente Jean-Baptiste De Franssu, sono il tedesco Clemens Boersig, la statunitense Mary Ann Glendon e l’inglese Michael Hintze. E se è vero che Pell ha affermato che presto entrerà in questo consiglio anche un italiano, è altrettanto evidente che, come ha detto ancora il porporato, quando ci si riferisce allo Ior «non si parla del Vicariato di Roma, ma si parla della Chiesa universale». Bastone e carota: «Ci saranno posti importantissimi per gli italiani ma dobbiamo avere altri membri di altre parti del mondo. Siamo una Chiesa universale e mi sembra opportuno che i capi siano universali».
La mappa del potere interno alle finanze d’Oltretevere se perde i colori italiani, guadagna quelli britannici: oltre al cardinale Pell e al vice presidente del Consiglio per l’Economia, il maltese Jospeh Zahra, ci sono l’anglo- australiano Hintze nel cda dello Ior, e direttamente da Sidney Danny Casey come Projet Management Officer della stessa Segreteria, l’inglese Brian Ferme come prelato-segretario del Consiglio per l’Economia. A tutti questi si aggiunge Lord Christopher Patten — già commissario europeo per contro di Londra, che nel 2010 fu organizzatore del viaggio di Benedetto XVI nel Regno Unito — a capo del neo costituito comitato per la riforma
dei media vaticani. Un gruppo molto influente, quindi, che in qualche modo si somma, o si sovrappone, a quello degli americani, che fino ad oggi aveva avuto il maggiore campo di manovra sulle finanze pontificie, Cavalieri di Colombo in testa.
Del resto, una curia con più rappresentanza e più collegialità è quella che vuole disegnare Bergoglio. Un programma che già Benedetto XVI mostrò di voler perseguire con un ultimo concistoro (il quinto) tutto di non europei. Prima di papa Ratzinger, fu il Concilio Vaticano II a spingere per una rappresentanza della Chiesa universale a Roma. Ma anche al recente conclave il tema degli italiani e del loro potere entro la curia romana non è stato marginale. Come ha confidato tempo fa a Repubblica il capo del C9, il cardinale Oscar Andres Rodríguez Maradiaga, «è stato lo Spirito Santo» a scegliere Bergoglio il 13 marzo del 2013. «Quel giorno non era in vacanza né stava facendo una siesta. Bergoglio aveva già dato le dimissioni da arcivescovo di Buenos Aires, aspettava il successore per andare in pensione. Non pensava all’elezione e aveva in mano il biglietto di ritorno. Invece lo Spirito ha suggerito un nome diverso dalla curia e dall’Italia».