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 2014  luglio 10 Giovedì calendario

«ORA UNA NUOVA INTIFADA». TRA I PALINSESTI I RAID ACCENDONO LA RABBIA E HAMAS CERCA LA RINASCITA

Ogni ora che passa le simpatie dell’uomo della strada per Hamas crescono. Specie nella “laica” Ramallah. Basta sedersi allo Stars and Bucks Cafè di Piazza Manara — il cuore della capitale de facto della Palestina — per averne conferma. I commenti e i discorsi ai tavolini sono tutti su Gaza e la frase ricorrente è «stanno massacrando la nostra gente, fanno bene a difenderci ». Hamas era ormai isolato dai suoi “padrini” arabi e islamici, in default economico dopo il crollo del contrabbando dall’Egitto che lo finanziava, con un calo dei consensi che poteva sfociare anche nel suo ridimensionamento nella Striscia della Gaza. Un declino politico che nell’ultimo anno è stato continuo, fino a queste settimane. Era sull’orlo del collasso e invece adesso ha rioccupato il centro della scena nel ruolo che il movimento integralista sente come più “caratterizzante”, quello della vera “resistenza” contro il nemico di fronte a una leadership moderata come quella di Abu Mazen che dopo vent’anni di negoziato con Israele si ritrova al punto di partenza.
Hamas è convinto che questo ciclo di violenze possa rimescolare le carte e aiutare il movimento a rilanciarsi come alternativa all’Anp, e così lancia i suoi appelli perché l’incendio di Gaza spinga i palestinesi della Cisgiordania a una Terza Intifada.
«Oggi siamo tutti chiamati a un’intifada popolare», dice al telefono dal Cairo Moussa Abu Marzuk, il leader di Hamas che ha diffuso l’appello, «siamo stanchi di parlare di risoluzioni e di pace».
«Hamas oggi non combatte né per la Palestina né per i palestinesi, combatte per restare in vita, perché non ha più nulla da perdere», spiega Mukhaimer Abu Saada, politologo dell’Università Al Aqsa. «Hamas combatte per la sua sopravvivenza politica e la sovranità sulla Striscia ». Il vuoto della proposta politica di Hamas, spiega il professore, ha lasciato campo libero alla ala dura del movimento, ai miliziani del braccio armato — le Brigate Ezzedin al Qassam — che intende sfruttare l’offensiva israeliana per riprendere quel sostegno popolare che l’organizzazione islamica ha perso dall’inizio delle primavere arabe.
Qui sono molti a ripetere che dal punto di vista del movimento il lancio dei missili contro Tel Aviv, contro Gerusalemme e le città del nord di Israele rappresenti una «vittoria», per questo l’organizzazione cercherà di tirare il confronto militare il più a lungo possibile. È quasi un mantra, qui: «La capacità di resistenza della popolazione palestinese è molto più vasta di quella del fronte interno israeliano». Lo dicono tutti, un po’ per convinzione un po’ per disperazione. Per questo motivo Hamas cercherà di continuare a sparare missili contro le città israeliane a un ritmo di decine ogni giorno — nei suoi arsenali ce ne sono circa 350 — nella speranza che uno di questi riesca a “bucare” il sistema di difesa israeliano “Iron Dome” colpendo un aeroporto, una fabbrica, un palazzo. Devastazione e vittime in una città d’Israele creeranno quell’immagine di panico che Hamas cerca. Dal suo punto di vista — anche se la Striscia sarà ridotta a un cumulo di macerie — il fatto stesso di sopravvivere sarà considerato un successo, come avvenne dopo l’Operazione Pilastri di Difesa nel 2012 e Cast Lead nel 2009.
«Hamas scommette che Israele non lancerà come minaccia un’offensiva di terra contro Gaza, perché rioccupare la Striscia è impossibile: il costo di vite umane sarebbe esorbitante», dice ancora il professor Saada. Fra l’altro Israele non ha alcun interesse a rioccupare la Striscia perché non ha un obiettivo politico, scriveva ieri su Yedioth Aaronoth l’analista militare Alex Fishman, «lo scopo delle operazioni militari è uno solo: fermare il lancio dei missili». Il premier Netanyahu nei suoi otto anni di governo non ha mai ordinato all’Esercito una “ground operation”, nel 2009 e nel 2012 Israele si “limitò” a una campagna di bombardamenti aerei che durarono settimane. Ma il governo, trascinato in questo confronto militare contro i suoi interessi dallo stillicidio di missili che da tre mesi cadono nel sud di Israele, potrebbe stavolta cedere alle pressioni dei falchi e aprire una nuova fase. Perché il tiro degli artiglieri di Hamas si fa ogni giorno più preciso e allarga il suo raggio.