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 2014  luglio 09 Mercoledì calendario

INTERVISTA A MARCO BELINELLI


«Lo scriva che mi piace divertirmi con gli amici». È piuttosto chiaro che Marco Belinelli si stia godendo il momento d’oro: 28 anni, guardia dei San Antonio Spurs, è il primo italiano nella storia del basket a vincere il titolo Nba. Il premio più ambito è arrivato il 15 giugno (data e trofeo sono diventati il suo primo tatuaggio) dopo un altro record: la vittoria nei tiri da tre punti all’All Star Game. Un’impresa che se inquadrata nella vita di Marco diventa un sogno incredibile per lui, timido ragazzo di San Giovanni in Persiceto, bravo da finire in A1 e da essere notato a 20 anni dagli americani tra lo scetticismo dei connazionali. Poi il trasferimento a San Francisco, i contratti con Toronto Raptors, New Orleans Hornets, Chicago Bulls e la mitica stagione con gli Spurs. Nelle ore prima del nostro incontro ha fatto l’alba in discoteca, tenuto una conferenza stampa, rilasciato interviste e firmato centinaia di autografi al Nike Stadium di Milano.

Cambiata la vita, eh?
«Ancora non riesco a realizzare. Ho sempre guardato l’Nba fino alle 6 del mattino e ora sono parte di tutto questo. Nessuno ci credeva, per i giornalisti italiani ero troppo giovane, troppo magro, troppo piccolo. Mi chiamavano sdeng, il rumore della palla che non entra nel canestro. Quando ho vinto mi è tornato in mente tutto. Ho dato una lezione a chi mi criticava».
Come ha festeggiato?
«Siamo stati svegli tutta la notte, prima cena con squadra, famiglie, amici e poi in casa con gli altri a bere champagne e fumare il sigaro della vittoria. Ho anche pianto tanto».
Pensa che le critiche arrivassero anche per il suo carattere?
«Se ho vinto, è perché sono forte. Non parlo tanto, preferisco lavorare. Mi hanno sempre tenuto da parte, ma le cose sono cambiate. Mi sembra giusto andare sui giornali solo quando si vince».
Qual è il termometro del successo?
«Già dopo la gara dei tiri da 3 sono stato al telefono una settimana. Con il titolo Nba i contatti sono raddoppiati».
L’America l’ha fatta crescere?
«Sono partito a 20 anni appena compiuti insieme con un amico. L’impatto è stato duro, non capivo l’inglese ed era la prima volta che vivevo da solo. Non sapevo neanche fare la lavatrice. Ma già dopo due mesi stavo benissimo. Sono diventato grande, non potevo mica tornare a casa».
E ora rientrerebbe in Italia?
«Forse a fine carriera. Per ora ci faccio solo le vacanze».
Com’è giocare negli Stati Uniti?
«Il lavoro dei sogni. Non c’è niente come l’Nba: ci si allena il giusto, andiamo in trasferta con aerei privati, abbiamo divise sempre pulite, scarpe nuove a ogni allenamento, palestre giganti e attrezzatissime».
E le groupies.
«Tante ragazze ci stanno addosso perché siamo famosi. Ma io lo capisco se piaccio davvero o mi cercano per soldi. Tanti giocatori si sono portati a casa delle donne conosciute in discoteca e poi sono dovuti andare dall’avvocato».
Lei ci è cascato?
«È capitato, ma niente di irreparabile».
Però una ragazza ha pubblicato una vostra conversazione osé via Twitter, lei le offriva «qualcosa di grosso» prima di venire liquidato.
«Abbiamo flirtato ma lei ha pubblicato solo il pezzetto finale. È stato imbarazzante soprattutto con il mio allenatore».
Gliel’avevano detto di starci attento?
«È stata la prima cosa. Quando sono arrivato negli Stati Uniti hanno organizzato un ritiro di tre giorni per noi rookies, le matricole dell’Nba. Ci hanno insegnato a mettere il profilattico alle banane, a comportarci con le ragazze, a gestire soldi e giornalisti. Lì ho capito che era un’organizzazione perfetta».
Però all’inizio aveva una ragazza.
«Sì, fino a Toronto. Era la mia fidanzata storica, siamo stati insieme 9 anni. Una storia importante finita per noia, distanza, tradimenti, tentazioni. Dopo di lei non ho più avuto relazioni serie. Adesso voglio solo divertirmi. Ho 28 anni e sono single. Ho sofferto e questo mi ha fatto diventare stronzo. Ora non mi fido più, mi faccio desiderare, non chiamo. Ma non è che me la tiro, solo che ora va bene così».
Aiuta essere italiano?
«Piace molto alle donne».
Come sono le americane?
«Quasi tutte rifatte. E di mentalità aperta, come noi maschi. Se le incontri in discoteca, non c’è bisogno di portarle a cena. Sono più aperte, hanno voglia di godersi il momento senza troppi giri di parole».
Succede anche in Italia.
«Forse adesso vi siete “evolute”, ma io ho notato la differenza».
Il suo compagno di squadra Tony Parker è l’ex marito di Eva Longoria. Anche lì funziona come tra calciatori e veline?
«Conosciamo attori e cantanti ma non capita spesso di avere fidanzate famose».
Che cos’ha comprato con i soldi guadagnati nell’Nba?
«Li ho investiti in appartamenti. Non sono uno da spese folli, ho una Range Rover Sport e una Porsche Panamera, ma non mi intendo di auto, le ho comprate solo perché mi piacevano esteticamente».
E le donne come le piacciono?
«More, piccole di statura, non troppo magre, abbronzate e con pochi tatuaggi».
Tipo Eva Longoria?
«No, lei è veramente troppo bassa. Meglio Elisabetta Canalis. Ma non disdegno le ragazze di colore o le orientali. Se una è bella, ci provo. Basta che si vesta bene. Sono un patito della moda, spendo tanto in vestiti. Ho depositi sparsi in mezza America».
Gli stilisti la corteggiano?
«Adesso sì, mi invitano alle sfilate e propongono collaborazioni. Firmerei volentieri una linea di calzini, la mia passione».
Tornando alle donne, qual è la cosa più folle che hanno fatto per lei?
«Ci sono tifose che mi scrivono sempre e che vogliono sposarmi».
Niente donne nude in camera?
«Quella che mi si presentò alla porta non era completamente svestita. Però mi mandano tante foto hot».
È vanitoso?
«Mi piace curarmi. Metto la crema, mi depilo, faccio massaggi alla spa, manicure e pedicure tutte le settimane, e adoro i profumi di Dior e Tom Ford. Quando esco ci metto mezz’ora per prepararmi, decido che cosa mettermi già sotto la doccia. Ma non pensi che sia effeminato».

Non si preoccupi, è piuttosto chiaro il contrario.