Teresa Ciabatti, IoDonna 5/7/2014, 5 luglio 2014
«CON GOMORRA C’ERA IL RISCHIO DI CELEBRARE IL MALE»
Trentacinque anni, bionda, bella, Ludovica Rampoldi è l’unica donna del team di sceneggiatori di Gomorra - La serie (sotto la guida di Stefano Bises, il cosiddetto Re Mida della televisione italiana, che sta preparando la seconda stagione della fiction, ndr).
Tutti la vogliono: dai grandi registi, ai produttori. Ha lavorato con Andrea Molaioli, Ivan Cotroneo, Gabriele Salvatores. Ha scritto, insieme con Alessandro Fabbri e Stefano Sardo, la serie Sky 1992 - su Tangentopoli - la più attesa della prossima stagione.
La doppia ora, Il gioiellino, Gomorra, 1992: è evidente la sua attitudine per il noir, come se la spiega?
Mio padre è giornalista, per molti anni inviato di guerra. Mi sarebbe piaciuto fare il suo lavoro, lui mi ha detto: «Devi passare sul mio cadavere ». E allora ho aggiustato il tiro: agente dei Servizi Segreti o commissario di Polizia. Mi piace l’investigazione.
Anche nella vita?
A vent’anni, capito che il mio fidanzato chattava con le ragazze, mi sono iscritta nella chat sotto falsa identità: Chiara di Senigallia. Chattavamo per ore. Il giorno lui chattava con Chiara di Senigallia, e la sera usciva con me.
Quando gli ha rivelato di essere lei Chiara di Senigallia?
Mai. L’ho solo lasciato. Dopo un po’.
Che bambina è stata?
A sette anni passeggio con mio padre e i cani in campagna. Mi allontano, e a un certo punto vedo un cadavere. Lo vedo proprio, ancora oggi ne sono convinta, quasi. Corro a chiamare mio padre: il cadavere non c’è più. Allora io dico: «Giuro che c’era, l’hanno mangiato i cani». Fantasia noir precocissima. Credevo nei vampiri.
Che giochi faceva da piccola?
Mai avuto Barbie in vita mia. Solo Lego e Playmobil. La città Lego con Ufficio Postale, centrale di Polizia, caserma dei pompieri, ospedale. Niente cimitero? Non esisteva. Si potrebbe brevettare però. L’avrebbe creato? Tendo a rimuovere la morte, che poi è un po’ il senso della narrazione seriale.
Lei che non pensa mai alla morte?
Sempre. Ma la esorcizzo: prima di tutto scrivendone. Da bambina i suoi genitori si preoccupavano per questo suo lato dark? Mio padre mi sequestrò un libro di Holly Hobbie: troppo maschilista, diceva.
Che cosa leggeva dunque?
A dieci anni tutto Agatha Christie. A undici tutto Stephen King.
Che cos’è per lei la famiglia?
Non ho mai sperimentato la famiglia tradizionale. I miei si sono separati quando io avevo due anni e si sono fatti un’altra famiglia con altri figli. Ho quattro fratelli. E ho sempre vissuto con mia madre.
E oggi?
Oggi la famiglia è mio marito, i suoi tre figli, e Kubi, il nostro cane.
È sposata con Nicola Giuliano, produttore di Paolo Sorrentino. Privilegi?
Forse. Avevo 24 anni quando lui mi ha detto: «Tu hai talento ma non basta: devi scrivere, scrivere, scrivere».
E lei lo ha fatto?
Sì. Lui mi ha insegnato la dedizione.
È stato difficile scrivere Gomorra?
Sapevamo di essere sul crinale della narrazione, il gusto del racconto epico, e il rischio della celebrazione del male. Non era Romanzo criminale dove i protagonisti sono lontani, negli anni Settanta. Lì già tutto era avvenuto, storia. Qui invece noi avevamo a che fare con l’attualità. È stata una responsabilità.
Quale film avrebbe voluto scrivere?
Lasciami entrare, il film sui vampiri.
Quale storia italiana le piacerebbe scrivere?
Alighiero Noschese. La vulgata vuole che lui, entrato nella P2, telefonasse per conto di Licio Gelli fingendosi Giulio Andreotti. Ha sacrificato il talento al lato oscuro.
Il lato oscuro di Ludovica Rampoldi?
Lo sfogo nella scrittura. Tutto qui? E nel karaoke. Sono timida, ma datemi un microfono e mi trasformo. Sono stonatissima, eppure niente mi ferma.
Cavallo di battaglia?
Space Oddity di David Bowie. C’è un verso: «Sto seduto in un barattolo di latta, lontano sopra il mondo, il pianeta Terra è blu, e non c’è niente che io possa fare».
Davvero non c’è niente che si possa fare?
Ognuno si salva da sé.