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 2014  luglio 09 Mercoledì calendario

A PEZZI IL DIO DEL BRASILE LA GERMANIA LO DEMOLISCE

Altro che Maracanzo. È stato peggio, infinitamente peggio. Un bombardamento a tappeto, ecco cos’è stato. La gente ha abbandonato le macerie del Brasile dopo mezz’ora. C’era solo la Germania, in campo. E il risultato era questo: Brasile zero Germania cinque. E alla fine, per la cronaca e per la storia – soprattutto per la storia – Brasile uno Germania sette. Robe dell’altro mondo.
La squadra di Scolari è esplosa addosso ai propri limiti, alle proprie tensioni, alle proprie lacrime. Mai vista una resa del genere. Assoluta, mortificante. D’accordo, Thiago Silva era squalificato e mancava Neymar, rotto da Zuniga. Il perno della difesa e la scintilla d’attacco. Dante e Bernard, i sostituti, sono stati spazzati via: letteralmente. Fanno sorridere, alla luce dello scarto, i sospetti e le malizie che avevano accompagnato la designazione dell’arbitro, quel Rodriguez Moreno che aveva cacciato Marchisio in Italia-Uruguay.
Che Germania, ragazzi. Ha lasciato agli avversari cinque minuti di briciole e poi se li è mangiati. Così: 11’, angolo di Kroos, blocco di Klose su David Luiz, Thomas Muller, libero, non perdona, 0-1; 23’, azione “alla mano”, Klose tira su Julio Cesar, cattura, il rimbalzo e infila, 0-2; 25’, Lahm scende sulla sinistra, Muller svirgola il controllo, Kroos, liberissimo, non può esimersi, 0-3; 26’, ancora Brasile allo sbando, ancora Kroos nel burro, 0-4; 29’, Ozil scarica su Khedira, l’area è spalancata, la mira diventa una formalità, 0-5. Non è facile spiegare, razionalmente, la mattanza di Belo Horizonte. Si pensava che le assenze avrebbero spinto la seleçao a dare il massimo. Di solito, l’abbraccio Nazione-Nazionale funziona. Di solito. Non questa volta.
I tedeschi sono all’ottava finale: ne hanno vinte tre e perse quattro. Ai Mondiali del 2006, Loew era il vice di Klinsmann. Ha portato avanti l’evoluzione tattica, mentre la Federazione ricostruiva vivai e accademie. Largo ai giovani. Se il Brasile si è europeizzato fin troppo, la Germania ha scelto la strada del palleggio già prima che Guardiola sbarcasse al Bayern. Non ha fuoriclasse, ma ottimi elementi: come Muller, punta mobile e multi-uso, come Kross, marcato stretto dal Real. A 36 anni, e con 16 gol, Klose ha staccato Ronaldo (15): è tutto suo, e solo suo, il trono dei cannonieri mondiali.
La ripresa conta solo per i topi d’archivio. Ramires e Paulinho avvicendano Hulk e Fernandinho. Loew, da parte sua, richiama Hummels e sguinzaglia Mertesacker. Sono proprio i nuovi, Ramires e Paulinho, a stuzzicare i riflessi felini di Neuer.
Al netto dell’enfasi, non ricordo un disastro così mortificante, così totale. Del resto, per issarsi in cima al mondo il Brasile ha avuto bisogno di Pelé e Garrincha (1958, 1962), di Pelé, Rivelino e Tostao (1970), di Ronaldo, Ronaldinho e Rivaldo (2002), e di una manciata di rigori (1994, con l’Italia). Nel suo corpo hanno sempre convissuto e combattuto due anime: l’allegria del superfluo, l’allergia al concreto. Scolari è stato colui che, come e più di Carlos Alberto Parreira negli Stati Uniti, ha cercato di «militarizzarne» l’approccio, la filosofia, venendone stritolato.
Brasile kaputt, dunque. Era già successo, ma non in maniera così feroce, così atroce. I poveri di spirito la chiameranno fatalità, sordi alla saggezza dei vecchi: «Puoi anche alzarti molto presto, ma il tuo destino s’è alzato un’ora prima».
Non sarà semplice sopravvivere alla baraonda emotiva di un simile macello. Dopo il “Maracanazo” del 16 luglio 1950, quando l’Uruguay di Schiaffino e Ghiggia ne punì l’arroganza tattica, visto che un pareggio avrebbe garantito comunque la coppa, il Brasile pianse se stesso e, come bersaglio contro cui sfogarsi, scelse il portiere: Moacir Barbosa.
Quel Brasile peccò di superbia. Questo, viceversa, ha pagato la modestia delle idee e del gruppo. La traversa di Pinilla, agli sgoccioli dell’ottavo con il Cile, fu un segnale che le parate di Julio Cesar e l’esuberanza di David Luiz hanno poi nascosto all’euforia di massa, e pure al nostro pronostico. Penso a Fred, e mi viene in mente il Serginho del 1982, ma è stato tutto il palazzo a crollare: non solo un inquilino, non solo un reparto. Tutto. Tutti. La Germania aveva patito l’Algeria fino ai supplementari, e con la Francia si era imposta di testa, un classico, e di misura. La doppietta di Schurrle, sostituito di Klose, e il golletto di Oscar appartengono ai risultati che resteranno tatuati, nei secoli, sulla pelle dei protagonisti, e non solo.
Roberto Beccantini, il Fatto Quotidiano 9/7/2014