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 2014  luglio 09 Mercoledì calendario

COME AL FUNERALE DI SENNA IL BRASILE SI SCIOGLIE IN LACRIME

Solo al funerale del pilota Ayrton Senna, a San Paolo, ho visto piangere più gente che ieri notte allo Stadio Mineirão. Gli spot pubblicitari non prevedono umiliazioni, ma il calcio non è uno spot. Per dimenticare il 2 a 1 contro l’Uruguay non son bastati 64 anni, il XXI secolo finirà e in Brasile i bambini arrossiranno ancora per il 7 a 1 contro una Germania dura come la realtà. Nello spot tv della Fifa di Blatter vedete un bambino calciare la palla in una favela senza miseria, il rimbalzo raggiunge i grattacieli del boom economico e la foresta vergine in Amazzonia. Questa è la maschera del calcio brasiliano, la realtà è da sempre diversa, ancor prima del cappotto tedesco. Domingos da Guia, detto “Fortezza”, difensore della Selecão anni Venti pioniere nero in maglia verde oro, passava ore a stirarsi i capelli per sembrare “bianco”. Il jogo bonito era adorato dall’intellettuale Socrates con la squadra perdente del 1982, ma i militari della giunta anni Sessanta preferivano la forza, «Voglio vincere con il futebol-forca – intimava minaccioso il generale Medici - non con il futebol-arte».
Stanotte il Brasile si sente solo. Al Mercado Central di Belo Horizonte, il venditore di galli –“anche da combattimento” assicura- aveva i brividi già ieri mattina «L’infortunio di Neymar è un segnale di Dio». Come la vertebra del suo asso, la colonna vertebrale della squadra va in pezzi, frantumata dalla Germania raziocinante di Löw. Il jogo svampito di Scolari - allenatore d’altri tempi, furbo, pantofolaio - sfuma sotto il jogo-forca tedesco.
Al 6 a 0 lo stadio cade nel silenzio, al 7 a 0 applaude i tedeschi e si unisce agli olè. Un bambino piange, singhiozzano tanti e, mesto comincia il riflusso: la gente in maglia gialla lascia in fila il Mineirao, con biglietti in tasca pagati a peso d’oro, mandando Aff… l’inetto centravanti Fred, poi la presidente Rousseff. Le ragazze pregano a mani giunte, i tedeschi esportano l’Oktobefest. La nazionale non reagisce al KO, un tiro in porta nel primo tempo, corse senza sugo nel secondo, reagirà la nazione? Il nesso SELECAO-BRASILE voluto dal presidente Lula e dalla sua erede Dilma Rousseff, la vetrina Mondiale-Olimpiadi 2016, il vertice Brics con Cina e India convocato a luglio per sfoggiare efficienza e trofeo, l’annuncio menagramo di Dilma «Consegno io la Coppa» bissano l’errore storico di fare del calcio la propria autocoscienza.
La nazione è definita dalla Brasilidade dello scrittore Gilberto Freyre, persuaso che la miscela di etnie nata dall’aristocrazia portoghese del latifondo e i servi neri, spesso via stupri, potesse vivere in armonia felice. La Nazionale è lo specchio della Brasilidade, dal quale le storie brutte, il disprezzo contro “la Fortezza”, la disperazione che uccide in manicomio a 39 anni la stella del dribbling, Heleno de Freitas, e rode nell’alcolismo il genio Manè Garrincha, vengono cancellati, come la corruzione della Federazione, che il vecchio Havelange consegna al genero Teixeira, costretto per malaffare a trasferirsi a Miami, passando il timone al tirapiedi Marin, tipino che a una premiazione intasca la medaglia d’oro di un calciatore.
«Andremo tutti all’Inferno se non vinciamo il Mondiale» faceva il gradasso Marin, e tanti brasiliani lo avranno spedito ieri all’Inferno. «Vincere è il minimo» rincarava Scolari, promettendo bel gioco. Le pallonate di Klose (16 gol ai Mondiali battuto record di Ronaldo) e Müller (11 gol e 5 assist in due Mondiali) distruggono la Selecão e ricordano al paese che il mondo globale non fa sconti, col tasso di crescita sotto il 2% niente superpotenza economica. Meno di 15000 paganti andranno da oggi in poi negli stadi da miliardi, i calciatori normali prendono due reales al mese, gli assi giocano lontano, troppi bambini non studiano, non giocano al calcio, sniffano colla.
Lo scrittore Nelson Rodrigues ricorda la vittoria del 1958 con Pelè ragazzino «in strada una vecchietta nera, tipica povera dei ghetti camminava felice, a testa alta come Giovanna D’Arco, ogni giovanotto di colore si dava arie da monarca dell’Etiopia…» ma affidare l’identità al calcio è patto col Diavolo, ora lo sa anche Manolesta Marin. Il Brasile del calcio s’è sciolto per presunzione ieri sera, il Brasile farà presto molto meglio, ma per dimenticare Belo Horizonte appuntamento al XXII secolo cara torcida.
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Gianni Riotta, La Stampa 9/7/2014