Lucio Caracciolo, la Repubblica 9/7/2014, 9 luglio 2014
LA PARTITA UNIVERSALE DELLE SPIE
Qual è lo spazio dell’intelligence italiana nel gioco universale delle spie? Quello determinato dalla nostra parabola statuale e geopolitica. Rispetto alla gran parte degli attori, persino di taglia assai inferiore alla nostra, i servizi nostrani scontano la debolezza dello Stato, dunque del committente politico. Tabe storica, che alcuni sperano relativizzata perché la contrapposizione geopolitica fra Stati apparterrebbe al passato. Non è così. Il teatro geopolitico e per conseguenza il sotterraneo delle intelligence è iperframmentato, ma non anarchico.
La nostra repubblica, a torto o a ragione, viene percepita dai competitori come «failing, if not failed » , nell’asciutta diagnosi offerta a Limes da un analista “alleato”. Le virgolette a ricordarci che nella geopolitica effettuale gli amici, sempre provvisori, non sono necessariamente alleati, né gli alleati amici, come dimostra il fitto spionaggio reciproco fra paesi dello stesso schieramento ufficiale, ad esempio Nato o Ue.
A tale poco favorevole premessa va sommato il fumus di slealtà che ha accompagnato i nostri servizi nei decenni della strategia della tensione e che continua, dopo troppo tempo, a oscurarne l’immagine. Fama già all’epoca non del tutto meritata, considerando lo status di semiprotettorato americano che ci caratterizzò durante la guerra fredda. La lealtà verso il protettore non sempre coincideva con la fedeltà alla Repubblica. Tale ambiguità si rispecchiava nella costituzione materiale dei servizi, non proprio consona alla legge. Sicché il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga poteva rivolgersi così agli studenti di un master d’intelligence italiano: «Non perdete tempo, fatevi assumere direttamente dalla Cia».
Oggi la consapevolezza di dover proteggere gli interessi nazionali anche quando non coincidono con quelli “alleati” — succede sempre più spesso, soprattutto con gli altri europei — sembra essersi fatta strada nel nostro sistema d’intelligence, di recente riforma. Le sfide della crisi economica scaturita dalla pancia della finanza privata americana e accentuata in Italia dal disfunzionale sistema euro stanno rifocalizzando i servizi sulla protezione della nostra tuttora considerevole taglia geoeconomica contro il rischio di declassamento insito nella pedestre imitazione del “rigore” di marca germanica.
Contemporaneamente, si dovrebbe (vorrebbe?) contrastare la disintegrazione istituzionale nel nostro “estero vicino” mediterraneo e balcanico, che rischia di innestarsi sulle linee di faglia domestiche prodotte dalla fragile legittimazione della repubblica, producendo un micidiale cortocircuito. A conferma della variabilità degli allineamenti operativi — di alleanze converrebbe non parlar più, se non come esercizio di dezinformacija — sul primo fronte ci troviamo a collaborare con gli americani contro i tedeschi, sul secondo con i tedeschi e persino con i russi contro i francesi e talvolta gli americani.
In questo scontro fra giganti, la nostra modesta intelligence può tuttavia fare affidamento su un tratto che altri ci invidiano. L’empatia. Il talento nello stabilire contatti fiduciari in ambienti esotici, financo ostili. Dove gli americani indossano la corazza, noi ci aggiriamo in stile casual.
Siamo abituati a nuotare controcorrente. Con pochi soldi e meno tecnologie, ti devi arrangiare. Dunque affinare.
Talvolta esageriamo e finiamo dispersi tra le linee, usati da tutti e da nessuno. Talaltra ci sveliamo utilissimi a noi stessi e ai nostri amici, guadagnando punti nel gerarchico “mercato” delle informazioni. Ma pochi come noi sanno far leva sul fattore umano. Dato di carattere, patrimonio di cultura fermentato nei secoli, di specifica utilità nel mestiere di spia. Quando sapremo metterlo al servizio di una strategia nazionale, saremo potenza rispettabile.
Lucio Caracciolo, la Repubblica 9/7/2014