Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, la Repubblica 9/7/2014, 9 luglio 2014
BOMBE, OMICIDI E STRAGI IN SICILIA ECCO TUTTE LE ACCUSE A “FACCIA DA MOSTRO”
Caltanissetta
Ci sono almeno quattro uomini e una donna che l’accusano di avere ucciso poliziotti come Ninni Cassarà e magistrati come Falcone e Borsellino, di avere fornito telecomandi per le stragi, di avere messo in giro per l’Italia bombe «su treni e dentro caserme». Qualcuno dice che a Palermo ha assassinato pure un bambino. Su di lui ormai indagano tutti, l’Antimafia e l’Antiterrorismo.
Sospettano che sia un sicario per delitti su commissione, ordinati da Cosa Nostra e anche dallo Stato.
Lo chiamano «faccia da mostro» e ha addosso il fiato di un imponente apparato investigativo che vuole scoprire chi è e che cosa ha fatto, da chi ha preso ordini, se è stato trascinato in un colossale depistaggio o se è davvero un killer dei servizi segreti specializzato in «lavori sporchi». Al suo fianco appare di tanto in tanto anche una misteriosa donna «militarmente addestrata». Nessuno l’ha mai identificata. Forse nessuno l’ha mai nemmeno cercata con convinzione.
Vi raccontiamo per la prima volta tutta la storia di Giovanni Aiello, 67 anni, ufficialmente in servizio al ministero degli Interni fino al 1977 e oggi plurindagato dai magistrati di Caltanissetta e Palermo, Catania e Reggio Calabria. Vi riportiamo tutte le testimonianze che l’hanno imprigionato in una trama che parte dal tentativo di uccidere Giovanni Falcone all’Addaura fino all’esplosione di via Mariano D’Amelio, in mezzo ci sono segni che portano al delitto del commissario Cassarà e del suo amico Roberto Antiochia, all’esecuzione del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida, ai suoi rapporti con la mafia catanese e quella calabrese, con terroristi della destra eversiva come Pierluigi Concutelli. E con l’ intelligence . Anche se, ufficialmente, «faccia da mostro» non è mai stato nei ranghi degli 007.
Negli atti del nuovo processo contro gli assassini di Capaci — quello che coinvolge i fedelissimi dei Graviano — che sono stati appena depositati, c’è la ricostruzione della vita e della carriera di un ex poliziotto dal passato oscuro.
La sua scheda biografica intanto: «Giovanni Pantaleone Aiello, nato a Montauro, provincia di Catanzaro, il 3 febbraio del 1946, arruolato in polizia il 28 dicembre 1964, congedato il 12 maggio 1977, residente presso la caserma Lungaro di Palermo fino al 28 settembre 1981, sposato e separato con l’ex giudice di pace.., la figlia insegna in un’università della California». Reddito dichiarato: 22 mila euro l’anno (ma in una recente perquisizione gli hanno sequestrato titoli per un miliardo e 195 milioni di vecchie lire), ufficialmente pescatore. Sparisce per lunghi periodi e nessuno sa dove va, racconta a tutti che la cicatrice sulla guancia destra è «un ricordo di uno scontro a fuoco in Sardegna durante un sequestro di persona», ma nel suo foglio matricolare è scritto che «è stata causata da un colpo partito accidentalmente dal suo fucile il 25 luglio 1967 a Nuoro». Il suo dossier al ministero dell’Interno, allora: qualche encomio semplice per avere salvato due bagnanti, un paio di punizioni, per molti anni una valutazione professionale «inferiore alla media», un certificato sanitario che lo giudicano «non idoneo al servizio per turbe nevrotiche post traumatiche ». Dopo il congedo è diventato un fantasma fino a quando, il 10 agosto del 2009, è stato iscritto nel registro degli indagati «in riferimento all’attentato dell’Addaura e alle stragi di Capaci e di via D’Amelio». Il 23 novembre del 2012 tutte le accuse contro di lui sono state archiviate. Ma dopo qualche mese «faccia da mostro» è scivolato un’altra volta nel gorgo. È sotto inchiesta per una mezza dozzina di delitti eccellenti in Sicilia e per alcuni massacri, compresi attentati ai treni e postazioni militari. Le investigazioni — cominciate dalla procura nazionale antimafia di Pietro Grasso — ogni tanto prendono un’accelerazione e ogni tanto incomprensibilmente rallentano. Forse troppe prudenze, paura di toccare fili ad alta tensione.
Ma ecco chi sono tutti gli accusatori di Giovanni Aiello e che cosa hanno detto di lui.
Il primo è Vito Lo Forte, picciotto palermitano del clan Galatolo. La sintesi del suo interrogatorio: «Ho saputo che ci ha fatto avere il telecomando per l’Addaura, ho saputo che era coinvolto nell’omicidio di Nino Agostino e che era un terrorista di destra amico di Pierluigi Concutelli, che ha fatto attentati su treni e caserme, che ha fornito anche il telecomando per via D’Amelio». Poi Lo Forte parla del clan Galatolo che progettava intercettazioni sui telefoni del consolato americano di Palermo, ricorda «un uomo con il bastone» amico di Aiello che è un pezzo grosso dei servizi, che ogni tanto a «faccia da mostro» regalavano un po’ di cocaina. Dice alla fine: «Era un sanguinario, non aveva paura di uccidere». E racconta che Aiello, il 6 agosto 1985, partecipò anche all’omicidio di Ninni Cassarà e dell’agente Roberto Antiochia: «Me lo riferì Gaetano Vegna della famiglia dell’Arenella. Dopo, alcuni uomini d’onore erano andati a brindare al ristorante di piazza Tonnara. Insieme a loro c’era anche Aiello, che aveva pure sparato al momento dell’omicidio, da un piano basso dell’edificio».
Il secondo accusatore si chiama Francesco Marullo, consulente finanziario che frequentava Lo Forte e il sottobosco mafioso dell’Acquasanta. Dichiara: «Ho incontrato un uomo con la cicatrice in volto nello studio di un avvocato palermitano legato a Concutelli... Un fanatico di estrema destra... dicevano che quello con la cicatrice fosse uomo di Contrada (il funzionario del Sisde condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, ndr)».
Il terzo che punta il dito contro Giovanni Aiello è Consolato Villani, ’ndranghetista di rango della cosca di Antonino Lo Giudice, boss di Reggio Calabria: «Una volta lo vidi... Mi colpì per la particolare bruttezza, aveva una sorta di malformazione alla mandibola... Con lui c’era una donna, aveva capelli lunghi ed era vestita con una certa eleganza». E poi: «Lo Giudice mi ha parlato di un uomo e una donna che facevano parte dei servizi deviati, vicini al clan catanese dei Laudani, gente pericolosa. In particolare, mi diceva che la donna era militarmente addestrata, anche più pericolosa dell’uomo». E ancora: «Lo Giudice aggiunse pure che questi soggetti facevano parte del gruppo di fuoco riservato dei Laudani, e che avevano commesso anche degli omicidi eclatanti, tra cui quello di un bambino e di un poliziotto e che erano implicati nella strage di Capaci».
Il quarto accusatore, Giuseppe Di Giacomo, ex esponente del clan catanese dei Laudani, di «faccia da mostro» ne ha sentito parlare ma non l’ha mai visto: «Il mio capo Gaetano Laudani aveva amicizie particolari… In particolare con un tale che lui indicava con l’appellativo di “vaddia” (guardia, in catanese, ndr).
Laudani intendeva coltivare il rapporto con “vaddia” in quanto appartenente alle istituzioni». Per ultima è arrivata la figlia ribelle di un boss della Cupola, Angela Galatolo. Qualche settimana fa ha riconosciuto Aiello dietro uno specchio: «È lui l’uomo che veniva utilizzato come sicario per affari molto riservati, me lo hanno detto i miei zii Raffaele e Pino».
Tutte farneticazioni di pentiti che vogliono inguaiare un ex agente di polizia? E perché mai un pugno di collaboratori di giustizia si sarebbero messi d’accordo per incastrarlo?
Fra tanti segreti c’è anche quello di un bambino ucciso a Palermo. Ogni indizio porta a Claudio Domino, 10 anni, assassinato il 7 ottobre del 1986 con un solo colpo di pistola in mezzo agli occhi. Fece sapere il mafioso Luigi Ilardo al colonnello dei carabinieri Michele Riccio: «Quell’uomo dei servizi di sicurezza con il viso sfigurato era presente quando fecero fuori il piccolo Domino». Poi uccisero anche il mafioso: qualcuno aveva saputo che voleva pentirsi.
Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, la Repubblica 9/7/2014