Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 9/7/2014, 9 luglio 2014
I CONTI DI WALL STREET E IL «DOPING» DEI BUY-BACK
Con i buoni risultati di Alcoa (profitti di 138 milioni di dollari contro una perdita di 119 milioni un anno fa), si è aperta ufficialmente a Wall Street la stagione degli utili societari del secondo trimestre. Ed è ricominciata pure la consueta liturgia dei «risultati migliori delle attese». Giacché la gran parte delle aziende che compongono l’indice S&P500 finisce per dare qualche numero leggermente superiore a quanto s’immaginassero gli analisti. I quali s’immaginano assai poco, poiché di solito prendono per buone tutte le stime che vengono loro comunicate dalle società qualche settimana o qualche giorno prima. Ma l’effetto sorpresa funziona sempre e serve a far fare un saltino all’indice. Non che gli analisti e i loro colleghi broker siano sprovveduti, visto che questa prassi si perpetua da sempre: abboccano, semplicemente perché conviene abboccare.
Insomma gli utili del paniere S&P500 (dati Thomson Reuters) sembrano destinati a crescere nel secondo trimestre del 6,2% rispetto a 12 mesi fa. È tanto? Diciamo che non c’è male, visto che nel precedente quarto erano aumentati del 5,6%. Ma non c’è dubbio che fra un mese, quando la campagna si sarà quasi completata, i numeri saranno leggermente superiori. Si può notare che le previsioni fotografate ieri sono sensibilmente più basse di quelle stimate tre mesi addietro (+8,4%) o a inizio anno (+9,7%): è sempre stato così, perché è nella natura dei mercati eccedere in ottimismo quando le cose van bene o, al contrario, esagerare nel pessimismo quando van male.
Nella pattuglia di analisti e strategist meno suscettibili al l’euforia, questi risultati sarebbero modesti. Di certo lo sono per giustificare un rialzo del l’indice di borsa che, da inizio anno, è stato del 6,5% (non lontano da quella crescita degli utili stimata all’8,9% per l’intero 2014). I risultati dovrebbero migliorare in futuro, sostengono, per legittimare una borsa il cui p/e (rapporto prezzo/utili) è a 16,5 per fine anno: decisamente più alto della media storica. Ma come potrebbero ulteriormente crescere gli utili, visto che il profit margin, ossia il rapporto tra utili operativi e ricavi, è al 10%: il massimo storico e mezzo punto più alto del picco del 2007. Devono crescere i ricavi è la risposta. Ma anche nel secondo trimestre sono previsti aumentare solo del 3% e non si vede come possano crescere di più in futuro.
Il guaio è che gli utili sono già gonfiati per una serie di motivi: per i salari che non aumentano (in termini reali), per una tassazione che negli Usa è pressoché ai minimi e per i tassi d’interesse quasi a zero che minimizzano gli oneri finanziari delle aziende. Anzi le invogliano ad indebitarsi e non solo per fare investimenti produttivi. Gran parte delle imprese s’indebita addirittura per comprare azioni proprie, perché il perverso meccanismo dei buyback, riducendo il numero dei titoli in circolazione, fa lievitare l’utile per azione e la quotazione. E quando si parla di risultati societari, s’intende sempre l’artificioso utile per azione che, per effetto dei buyback, cresce sempre più dell’utile reale. Nel primo trimestre le società dell’S&P hanno riversato sul mercato 82 miliardi di $ di dividendi e oltre 159 miliardi di buyback: in totale 241 miliardi, 20 in più degli utili complessivi. Significa che ci s’indebita per comprare azioni proprie, così come era avvenuto nell’euforia del 2006-07 quando, tra dividendi e buyback, le 500 società dell’S&P avevano fatto fluire sul mercato il 130% dei profitti cumulati.
Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 9/7/2014