Gabriella Gallozzi, l’Unità 8/7/2014, 8 luglio 2014
LE CICATRICI DEL CINEMA
Bernardo Bertolucci e Pasolini, ovviamente, ma anche Totò, Rossellini e Luciano Emmer che, dopo il «massacro» del suo La ragazza in vetrina, colpevole di raccontare l’amore di un emigrato per una prostituta, smette col cinema per dedicarsi solo ai Caroselli. Stiamo parlando della censura. Patria istituzione che fin dal 1914, con Regio decreto, ha imposto «il comune senso del pudore» al cinema italiano e non solo, colpendo a 360 gradi autori impegnati, ma anche pellicole di cassetta, cinegiornali, pubblicità e manifesti.
A cent’anni dalla sua nascita la Direzione Cinema del Ministero dei beni culturali e del turismo insieme al Centro sperimentale di cinematografia ha creato una grande mostra virtuale dal titolo esplicativo: Cinecensura. Cent’anni di Revisione cinematografica in Italia (www.cinemacensura.com). Suddiviso per voci – politica, violenza, sesso e religione – il sito propone un appassionante e ricchissimo viaggio tra tagli, documenti, foto, video, locandine a dimostrazione della solerte attività degli «sforbiciatori» di Stato a cui Chiesa e politica hanno imposto da sempre le loro direttive.
Se Andreotti diede filo da torcere al Neorealismo («i panni sporchi si lavano in casa»), non mancarono certo tanti altri politici di minor spessore, «saliti dalla provincia a Montecitorio», come spiega Tatti Sanguineti, tra i massimi esperti in fatto di censura e curatore della mostra, preoccupati della «denigrazione» del loro Paese all’estero e capaci quindi di imporre il divieto di esportazione del fimi. Per non parlare dei temi sodali politicamente troppo caratterizzati e ancor peggio revocazione dello spettro del fascismo come in Anni difficili di Luigi Zampa da una novella di Francati o il documentario Tragica alba a Dongo che, rievocando l’esecuzione di Mussolini con la Petacci, si beccò nei Cinquanta il divieto di uscita in sala ed è tutt’ora inedito.
La preoccupazione per il buon nome delle forze dell’ordine, della politica e dei funzionari statali poi, spingono a «sforbiciature» pesanti anche nelle commedie. Totò e Carolina di Monicelli è uno dei film più censurati della storia: i democristiani lo contestano perché non è rispettoso nei confronti delle forze dell’ordine, appunto, e la Chiesa più direttamente lo contesta per il tentato suicidio di Carolina, la giovane protagonista sbandata. Così quando il film riesce finalmente ad uscire in sala, dopo un taglio record di 200 metri di pellicola, la frase «il suicidio è un lusso, i poveri non hanno neanche la libertà di uccidersi», viene cancellata dalla colonna sonora. Le istituzioni non vanno denigrate, figuratevi dunque quanto dovette patire Rossellini per il suo Dov’è la Sberla in cui Totò nei panni di un ex galeotto è talmente deluso dall’Italia che trova fuori da desiderare di tornare dietro alle sbarre.
La religione. Dio ce ne guardi, scatena poi le ire dei censori sopra ad ogni cosa. Imponendo particolare attenzione alle rappresentazioni della Chiesa cattolica e dei suoi esponenti. Nelle forbici della Chiesa incapperanno, tra i più celebri, Umberto D. e Alvaro piuttosto corsaro. La dolce vita (la sequenza scandalo del finto miracolo) e La ricotta di Pasolini arrivata nelle aule del tribunale. «In seguito gli interventi saranno sporadici ma non infrequenti - si legge nel sito -, fino alla proibizione assoluta (poi rientrata) di Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco, che affronterà anch’esso un processo, per vilipendio della religione».
I casi più noti sono tutti in mostra. Ma tante sono anche le sorprese e le «chicche» per cinefili. A dire dell’ossessione del sesso dei nostri censori, quelli per intenderci che hanno letteralmente mandato al rogo Ultimo tango a Parigi, esemplare resta Odissea nuda di Franco Rossi, del ’61, parabola sull’abbandono della civiltà da parte di un intellettuale, di cui colgono - e quindi censurano - soltanto l’eccesso di sensualità ed erotismo.
«Negli anni del miracolo economico – si legge ancora nel sito –, l’avanzata dei costumi si scontrerà in maniera più diretta con interventi del potere politico e giudiziario, e a fare da apripista saranno vari film d’autore, da L’Avvenura a La dolce vita a Dolci inganni. E negli anni ’70, prima dell’arrivo del cinema a luci rosse, la battaglia contro le immagini di sesso man mano dilaganti apparirà perduta in partenza». Mostrando cosi - lo sottolinea Sanguineti - che «nulla come la censura sopporta le macchine del tempo».