Andrea Bassi, Il Messaggero 9/7/2014, 9 luglio 2014
BUROCRAZIA E VINCOLI ORA L’ITALIA RISCHIA DI PERDERE IL GAS A ZERO
[Pezzo + box] –
ENERGIA
ROMA Ilham Aliyev ha fretta. Deve correre, come direbbe Matteo Renzi. Ma come per l’ex sindaco di Firenze, la fretta del presidente dell’Arzebaijan, la repubblica caucasica ricca di gas, rischia di infrangersi sulla lentezza della burocrazia italiana. Il consorzio Shaz Deniz, che estrae il gas azero nel Mar Caspio, ha venduto 10 miliardi di metri cubi alle principali società energetiche in Europa, e dal 2019 deve iniziare le consegne. Non potrà farlo se entro quella stessa data il Tap, il gasdotto transadriatico di 800 chilometri che collega Grecia, Albania e Italia ai giacimenti del Mar Caspio non sarà completato. E il timore è che l’Italia possa non essere in grado di rispettare questo cronoprogramma. Domenica prossima Aliyev incontrerà Renzi, e sul tavolo ci sarà il delicato dossier del Tap. Il gasdotto dovrebbe approdare in Puglia, a Melendugno. Ma il condizionale è d’obbligo. Non tanto e non solo per la fortissima opposizione dei comitati locali «no Tap» e delle amministrazioni del luogo, ma soprattutto perché l’iter di approvazione del progetto si è arenato. La Regione Puglia ha dato un parere negativo. Un atto obbligatorio ma non vincolante. Inoltre manca ancora la valutazione d’impatto del ministero dell’Ambiente e il decreto autorizzativo finale, che deve essere rilasciato dal ministero dello sviluppo economico. Lo studio di impatto ambientale è stato presentato lo scorso 10 settembre dal Tap. Solo a marzo di quest’anno, ben tre mesi dopo la scadenza consentita dalle stesse procedure, il ministero dell’Ambiente ha chiesto al consorzio di integrare la documentazione formulando 48 specifiche richieste.
GLI OSTACOLI
La risposta del Tap è arrivata ad aprile e ancora si attende una decisione finale. Poi toccherà allo Sviluppo economico pronunciarsi. Una macchina, insomma, che cammina con il freno a mano tirato e che sembra essere incompatibile con i tempi del consorzio. «Tutto questo», spiega a Il Messaggero Giampaolo Russo, amministratore delegato del Tap, «è parte di un progetto che ha già speso 8 miliardi e ne spenderà altri due entro l’estate, è tutto sincronizzato, una volta che inizia l’estrazione del gas deve cominciare anche la distribuzione. In Grecia ed Albania sono già partite le gare per la selezione dei fornitori».
Qui sta il punto. Perché nel caso in cui Roma non desse garanzie, ci sarebbe un piano B. Non è un mistero che c’è un altro paese che si è detto disponibile ad ospitare il Tap, la Croazia. Di nuovo Zagabria. Dopo l’avvio della gara delle concessioni per trivellare l’Adriatico, il mare comune in barba all’immobilismo italiano, la Croazia sarebbe pronta a portar via alla penisola anche il ruolo di hub del gas che l’approdo in Puglia del Tap consentirebbe, garantendo anche quella diversificazione dagli approvvigionamenti in grado di ridurre la dipendenza da Russia, Libia e Algeria rafforzando la sicurezza del sistema.
COSTI E BENEFICI
Ma quanto è credibile minaccia di trasferire a Zagabria il Tap? Gli azionisti non si sono ancora espressi, ma da quanto trapela dal consorzio, una decisione potrebbe essere presa a breve. Del resto con il governo di Zagabria, con quello della Bosnia e della Serbia, sono già in essere degli accordi per ospitare una bretella del Tap denominata Iap, Ionian adriatic pipeline, con una portata di 5 miliardi di metri cubi, ridotta rispetto ai 10 miliardi del Tap (che in prospettiva dovrebbero diventare 22 miliardi). Ma la bretella Iap non è ancora stata costruita e, dunque, basterebbe semplicemente potenziare il progetto. Gli scettici sostengono che questa potrebbe essere una mossa ”tattica”. Il tratto italiano del Tap sarebbe di soli 45 chilometri di condotta sottomarina e otto chilometri di condotta interrata. Poi andrebbe collegato alla rete Snam già esistente per distribuire il gas. Nel caso del percorso «alternativo» attraverso i balcani, si tratterebbe invece di costruire ex novo altri 500 chilometri di tubature, anche se è vero che in una certa misura si tratterebbe solo di incrementare un investimento già messo in conto. L’analisi costi-benefici, tuttavia, sembrerebbe ancora a vantaggio dell’Italia rispetto all’approdo croato.
UNA RETE DI TUBI LUNGA OLTRE 800 CHILOMETRI –
Il consorzio Shah Deniz II, i cui azionisti sono Bp, Socar, Statoil e Tpao, è proprietario dell’omonimo giacimento del mar Caspio. Il 28 giugno del 2013 Shah Deniz ha selezionato Tap come progetto vincente. La sezione italiana del progetto Tap (lungo 800 km) prevede la costruzione di una condotta sottomarina di 45 km e una condotta interrata di 8 km e un terminale di ricezione del gasdotto localizzati a San Foca, nel territorio comunale di Melendugno. Il gasdotto avrà una capacità iniziale di trasporto di 10 miliardi di mc con la possibilità di essere ampliata fino a 20 miliardi di mc.