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 2014  luglio 09 Mercoledì calendario

UN PETROLINI MAI VISTO


Senza di lui non ci sarebbe stato il vigile inflessibile Otello Celletti interpretato da Alberto Sordi, e forse neppure il Mandrake di Gigi Proietti che gioca a fare la guardia municipale nello spot del «whisky maschio senza rischio». Ettore Petrolini, grandissimo commediografo e attore romano, fu il primo a dare dignità artistica alla figura del vigile urbano ne Il Metropolitano, commedia in tre atti scritta nel 1935. Quell’opera, incompiuta per la morte improvvisa dell’autore nel 1936, viene ora per la prima volta messa in scena, grazie all’adattamento scenico e alla regia del maestro Carlo Merlo e all’interpretazione di Compagnia Italiana STCM, Associazione Clesis-Arte Roma e gruppo In-Canto Musica Popolare Romanesca. L’anteprima internazionale si terrà l’8 agosto a Roma nel teatro Le terrazze, presso il Palazzo dei Congressi dell’Eur. Seguirà un tour europeo, che farà tappa inizialmente a Edimburgo il 19 e 20 agosto.
Nelle righe della commedia trapela tutta la capacità di Petrolini di fare satira dell’universo variopinto delle periferie romane, spesso diviso in guardie e ladri. In un bar sport di borgata entra infatti Patera, cioè il vigile, impeccabile ed educatissimo, subito considerato un intruso dai frequentatori non troppo raccomandabili del locale (c’è chi fa lo strozzino e chi il giocatore d’azzardo). Giggi, di professione autista, intima al barista: «Stiamo bene qui dentro, se ti fai stà clientela! Deciditi, o autisti o metropolitani». E così il povero metropolitano è costretto ad andar via. Quando ritorna, la situazione è ancora peggio. Del Cinque, lo strozzino, finge di essere sordo e inizia a prenderlo in giro. Ma Patera gli risponde per le rime: «Non mi ero mai accorto che fossi sordo. Sapevo solo che eri un celebre cornuto». Tra le minacce dello strozzino e la revolverata senza conseguenze del vigile, la scena si conclude con la considerazione bonaria che «se dovessi sparare a tutti i cornuti, il mondo sarebbe un mezzo cimitero».
Anche in questo emerge la grande pietas di Petrolini, indulgente verso i furfanti ma pure verso i tutori della legge. Lui vedeva infatti il mestiere del vigile ingiustamente disconosciuto sia in pubblico che in privato (la moglie di Patera lo vorrebbe almeno brigadiere e la figlia tenente a cavallo), e così ne coglieva la profonda dignità nonché l’utilità sociale, in quanto garante dell’ordine pubblico. «Qualunque divisa, quando è portata con dignità», sostiene Patera, «nobilita chi l’indossa».
Per il resto la commedia di Petrolini è un fiorire di calembour ed equivoci, che anticipano quelli del migliore Totò, cui il maestro romano vagamente somigliava. Si va dal gioco di parole questore-quest’ora («Se avessi dato retta a me, a quest’ora saresti già questore». «Lascia stare il questore a quest’ora, non so’ quest’ore di parlare di questore») al bisticcio linguistico cicuta-cicoria («Socrate fu condannato a bere la cicuta, come io sono condannato a bere questo caffè con la cicoria»).
Il richiamo a Socrate serve a Petrolini anche a mettere in atto una pratica di cui lui era maestro: la parodia dei classici. Nella commedia, insieme a Socrate («E chi è quest’altro?», dice la moglie del vigile, ignorandone l’esistenza), viene preso di mira pure Cyrano de Bergerac (rappresentato come un masochista che «gode del godimento altrui e soffre delle sofferenze altrui»). Ma è in tutta la produzione petroliniana che i grandi personaggi del teatro vengono sbertucciati: da Otello ad Amleto fino a Violetta Valéry de la Traviata. Petrolini importò così a teatro un genere, la parodia, esistente fino ad allora solo in letteratura. E lo fece con un’intuizione fondamentale: «Non limitarsi a imitare perché se così fosse farebbero arte anche la scimmia e il pappagallo ma deformare».
Tutta la commedia petroliniana, d’altronde, è una riflessione sulla capacità dell’artista di deformare la realtà, di migliorarla o di renderla più buffa, facendo «lo zoppo, il sordo, il balbuziente, il buffone insomma. E tutto questo per cercare di farsi perdonare il mestiere che fa». Un mestiere che Petrolini amava profondamente, venendo ricambiato dai suoi attori e personaggi. Non a caso l’anagramma di «Il metropolitano» è proprio «T’amo, o Petrolini».