Antonella Baccaro, Corriere della Sera 9/7/2014, 9 luglio 2014
LA FORMULA OCSE PER IL RATING DELLE RIFORME
ROMA — Misurare l’impatto delle riforme strutturali sulla crescita, individuarne i costi, consentire al Paese che le ha adottate di scontarli dal calcolo del deficit o/e del debito. La formula che il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, ha illustrato oggi ai colleghi dell’Ecofin, trovando un primo parziale consenso politico, avrà bisogno di una lunga elaborazione comune dei principi prima di poter essere applicata.
Ma Padoan non parte certo da zero, anzi, come capo economista dell’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, possiede tutti gli strumenti per proporre sofisticate tecniche di misurazione delle performance dei vari Paesi. È quello che da anni fa l’Ocse, appunto, ma non solo. La valutazione dei Paesi è oggetto di approfondimenti di diversi istituti internazionali, come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale, ciascuno dei quali ha sviluppato un proprio metodo. Questi organismi periodicamente pubblicano rapporti sullo stato di avanzamento delle riforme nei Paesi con varie finalità: indicare i correttivi necessari ai Paesi che hanno ricevuto aiuti, aiutare gli investitori a scegliere l’allocazione migliore delle risorse, oppure semplicemente suggerire ai Paesi come programmare al meglio le riforme.
Questo ultimo è il caso del programma «Going for Growth» con cui l’Ocse mira a promuovere la crescita e favorire la convergenza tra le economie dei Paesi. La valutazione dei quali si basa su un insieme di circa 50 indicatori quantitativi che misurano la performance degli stessi in diversi settori. Tale valutazione produce a propria volta cinque raccomandazioni per ogni Paese ogni due anni, cui segue la verifica circa l’applicazione delle stesse.
Facciamo un esempio pratico relativo all’Italia. Nel Rapporto Ocse 2013 sull’Italia si prendono in considerazione le varie riforme introdotte l’anno scorso ma soprattutto, e qui sta l’aspetto interessante, valutandone gli effetti sulla crescita. Ad esempio, secondo le stime dell’Ocse, basate sui suoi indicatori dei mercati dei prodotti e del lavoro, grazie alle riforme approvate fino al novembre 2012 (comprese tutte le misure adottate dal 2008) il Pil potrebbe aumentare del 5,5% in 10 anni. Il rapporto avverte che, «sebbene le stime sulla crescita dell’Ocse e del governo italiano siano grosso modo dello stesso ordine di grandezza, rimangono tuttavia essenzialmente indicative, e l’utilizzo di dati internazionali per analizzare l’impatto di tali misure pone numerosi problemi metodologici». Quali? «A partire dal 1998 — segnala il rapporto — l’indicatore che misura la regolamentazione dei mercati dei prodotti in Italia è considerevolmente migliorato, e in modo più marcato che negli altri Paesi. Dinanzi a una tale evoluzione — si osserva —, ci si sarebbe potuto aspettare un miglioramento significativo della performance economica» che in realtà «in termini di produttività è peggiorata». Una spiegazione possibile è che «le riforme passate non sempre siano state attuate conformemente alla legislazione». Che è esattamente il problema che l’attuale governo sta cercando di fronteggiare.