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 2014  luglio 09 Mercoledì calendario

PRANDELLI LI FA A BRANDELLI

Lo spettacolo andrà avanti, ma probabilmente nulla sarà più come prima. Nel giorno della sua presentazione al Galatasaray - a 14 giorni dall’eliminazione dal Mondiale - Cesare Prandelli racconta le sue verità. Scomode e anche malinconiche, perché mettono a nudo anche quel nucleo di follia che corrode il nostro calcio.
Prandelli, lei è diventato un nemico pubblico. Forse per questo pare essersi chiuso a riccio.
«Superare uno choc del genere non è facile. La possibilità di avere un nuovo obiettivo, però, può aiutarmi molto. Al Galatasaray prima avevo detto di no, poi ho ceduto quando mi hanno spiegato che avevano messo 8 allenatori in stand-by per me. Ma al presidente Aysal ho detto: non mi interessano i soldi, voglio una squadra per vincere la quarta stella (il ventesimo titolo del club turco, ndr). Per il resto, il bilancio dei 4 anni in azzurro non devo farlo io. Certo, quando poi ricevi minacce, lettere nella posta, oppure leggi certi articoli o senti certe trasmissioni, rimani spiazzato, stai male, ti chiudi in te stesso. Ci sono i familiari, puoi perdere la testa. Dovevo restare sul divano a consolare quelli che mi stavano consolando? Le persone sporche e cattive dentro hanno un problema esistenziale e vedono il mondo a loro immagine e somiglianza. Agli italiani volevo solo dire che non ho ammazzato nessuno. Sono stato accostato a qualche personaggio (Schettino, il comandante della Costa Concordia, ndr) e ho pensato ai familiari di quelle vittime. Non mi piace questo modo di fare, questo cinismo esasperato. Io comunque non sono mai scappato da nulla, ma non so se adesso avrei allenato in Italia. Mi auguro che tutto finisca presto, però sarà difficile. Il calcio fa audience. In quattro anni ho ricevuto più di quello che ho meritato e adesso non merito quello che sto subendo».
Crede di aver pagato anche il supporto pubblico a Renzi?
«Non so, ma l’avevo fatto in tempi non sospetti. Forse avrà nuociuto a lui...».
Dal sì a Cassano al no a Rossi, le sue scelte sono state criticate.
«Le rifarei, sono dettate dal campionato. Lippi fu criticato perché nel 2010 non aveva portato Balotelli e Cassano, io perché l’ho fatto. Antonio aveva dimostrato di avere qualità superiore in Serie A. Di Rossi non volevo parlarne. E’ ancora forte la delusione che ho provato. Non era pronto e a lui l’ho detto due volte. E’ stata una delusione umana. Un giorno dirà la verità, ma comunque è cominciato tutto da lì». Pausa e spiegazione: dopo il taglio dell’attaccante, già a Firenze l’ex c.t. era stato apostrofato per la strada. Poi, a fine Mondiale, le lettere (su carta) con insulti e minacce.
Giusto dimettersi così di corsa?
«Ho detto che se un progetto tecnico falliva, chi l’aveva portato avanti doveva dimettersi. L’ho fatto. Dovevo cercare alibi come il sorteggio, le due partite alle 13, l’arbitro per la prima espulsione in possesso palla della storia? Oppure aspettare il consiglio federale e chiedere una buonuscita come si fa in Italia? Io invece me ne sono andato rinunciando al contratto, come avevo fatto a Venezia e a Firenze».
Balotelli è stato messo nel mirino dei senatori: si sente tradito da Mario?
«Buffon e De Rossi sono campioni del mondo. Le parole non erano riferite a un giocatore, ma a una generazione che deve crescere con valori diversi, che ha tutto troppo in fretta e non si ferma neppure a fare autografi. Ma per farlo occorrono dei dirigenti forti che abbiano delle regole. Quando ci siamo salutati, a Mario ho detto che se vuole diventare quello che pensa, deve essere nella realtà e non nel suo mondo virtuale. Gli ho voluto bene, gliene voglio e lo riallenerei, ma ho aggiunto: fai tesoro di questa esperienza perché la Nazionale ha bisogno di te. Se torni con i piedi per terra, non sarai solo un giocatore che ha i colpi senza essere un campione».
Rifarebbe la stessa preparazione?
«Ci assumiamo tutte le responsabilità, ma giocare due volte alle 13 non è stato facile, con temperature tra 30 e 50 gradi (per giunta sotto il sole, ndr). Abbiamo cercato una preparazione scientifica, forse abbiamo voluto proporre tante cose troppo avanti. E’ stato un errore di generosità. Comunque fino alla partita con la Costa Rica si diceva che tutto funzionava benissimo e c’era anche armonia grazie alle famiglie. In realtà la nostra forza era avere una filosofia di gioco, ma nelle ultime due partite l’abbiamo persa, il perché non lo so. Possono essere motivi fisici o psicologici. O semplice paura».
Che consiglio darebbe al suo successore?
«Deve lavorare per il movimento. Siamo in crisi. Nei vivai investiamo, ma sugli stranieri: allora facciamo sì che possano indossare la maglia azzurra, altrimenti lavoriamo per gli altri. Chiediamoci qual è la squadra più importante d’Italia: se rispondessimo la Nazionale avremmo risolto tutti i problemi. Invece non c’è mai collaborazione. Partiamo per i grandi eventi sempre orfani di tutti gli affetti. Poi se le cose vanno bene arrivano i supporti, altrimenti ti affondano».
A pensarci bene, una classica storia all’italiana.