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 2014  luglio 09 Mercoledì calendario

ECCO LA MAPPA DEI COVI SEGRETI UTILIZZATI DALLE SPIE KGB A ROMA

È il 24 marzo 1992. La Russia attende il ritorno del cosmonauta Krikalëv. Mancano più o meno 24 ore all’atterraggio. E mentre gli occhi cominciano a levarsi verso il cielo, un uomo decide di partire. La sua destinazione non è certo lo spazio. Si accontenterà di espatriare con la famiglia nel Regno Unito. Ma il suo viaggio lascerà comunque il segno, probabilmente più di quello di Krikalëv.

Basta citarne il nome per capirlo: Vasilij Mitrokhin. È un pensionato. Un ex archivista del primo direttorato generale del Kgb (vi aveva lavorato tra il 1948 al 1984). Quel giorno prende contatto con lo staff dell’ambasciata britannica di Riga. A quel tempo le tre repubbliche baltiche hanno già separato il loro destino da quello della «grande madre» Russia. Per questo Mitrokhin ha deciso di recarsi lì.

Dice di avere con sé dei documenti provenienti dagli archivi dell’ex URSS. Racconta di aver copiato dei volumi sull’attività del Kgb all’estero. Li ha già offerti agli americani che, però, non si sono fatti impressionare. I britannici, al contrario, restano colpiti e fissano un nuovo appuntamento. Il 9 aprile l’ex archivista consegna 10 buste contenenti oltre 2000 cartelle. E fissa le sue condizioni per iniziare a collaborare.

Il seguito di questa storia è più o meno noto. Soprattutto nella sua appendice italiana. La documentazione, nel 1995, arriva in Italia, ma solo nel 1999 il presidente del Consiglio in carica, Massimo D’Alema, viene informato della sua esistenza. Prima di allora, il ministro della Difesa pro tempore Beniamino Andreatta, decide che non c’è motivo per cui il Parlamento venga informato dell’arrivo di questi documenti.

Nasce da qui la richiesta di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta ad hoc. I cui compiti sono delineati nell’articolo 1 del disegno di legge firmato da alcuni senatori Ccd-Cdu. Ultimo punto: «accertare i risultati raggiunti nella ricerca di materiale bellico e di depositi clandestini di armi e ricetrasmittenti dei cosiddetti "Nasco rossi".

Il 5 novembre del 1998, infatti, il Sismi aveva ricevuto due report, redatti il 21 agosto, che elencavano l’esatta ubicazione di questi nascondigli, con una dettagliata descrizione di ciò che contenevano. Non solo, c’erano anche le indicazioni su come raggiungerli e disinnescare i dispositivi esplosivi utilizzati per proteggerli.

In un primo momento la ricerca non produsse risultati. Mitrokhin aveva mentito? In realtà si trattava di un problema di metrica. Confusione tra yard, miglia, centimetri, palmi. Solo una verifica dei documenti originali (agli italiani era stata spedita la traduzione in inglese) consentì di risolvere il problema.

Si scoprì, ad esempio, che alcuni di quei nascondigli si trovavano intorno alla Capitale. Tre su tutti: Fosso (nella zona di Poggio Moiano, in Sabina), Kollo («sulla curva della strada che va dalla via Tiberina all’abitato di Riano»), Bor («a circa 60-70 metri alla sinistra del km 34 sulla strada statale numero 215, con direttrice di marcia Grottaferrata-Artena»).

Insomma il Kgb aveva disseminato il territorio di rifugi pronti ad essere utilizzati in caso di necessità (in alcuni c’erano anche soldi). Vennero ritrovati anche perché la presenza di dispositivi esplosivi a difesa, li rendeva un potenziale pericolo per la sicurezza nazionale.

E oggi da quei faldoni su cui la politica italiana si è divisa per anni, emerge anche una mappa. Merito dell’archivio del Churchill College di Cambridge che ha desecretato buona parte del materiale.

I misteri attorno alle rivelazioni dell’ex archivista sono ancora molti. A cominciare da come quel pensionato sia riuscito, sostanzialmente indisturbato, a trasportare una così grande quantità di documenti. Le leggende sono moltissime e forse qualcosa di nuovo potrebbe emergere.

Per ora gli inglesi (è stato The Indipendent a pubblicare per primo la mappa ndr ) sorridono nel leggere la considerazione che i russi avevano delle principali spie su cui potevano contare in Gran Bretagna. Guy Burgess era costantemente ubriaco. Donald Maclean amava gozzovigliare e non era in grado di mantenere troppo a lungo un segreto.

Unica a salvarsi lady Melita Norwood. Una spia ineccepibile. Chissà cosa pensavano i russi dei loro "collaboratori" italiani? Ora, forse, lo sapremo.