Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 8/7/2014, 8 luglio 2014
“PORTARE IL SANTO”, SIMBOLO DI POTERE
La festa della Madonna delle Grazie, una delle icone mariane più venerate nel nostro Paese, cade il 2 luglio di ogni anno, ma in quasi tutto il Sud la relativa processione si svolge nella domenica successiva. Nel rione Treselico di Oppido Mamertina, dove il corteo ha fatto l’inchino davanti alla casa dell’anziano boss locale, si è invece tenuta nel giorno canonico, il 2 luglio. Tecnicamente, nel gergo degli esperti, è una sosta e l’usanza è molto diffusa. Di solito le processioni, patronali o mariane, lungo il percorso trovano portoni aperti e ingenti offerte per la chiesa (accade per esempio nella festività del Corpus Domini, quando il Santissimo esce dal tabernacolo) e talvolta sostano laddove c’è da ossequiare una cosiddetta “persona in vista”, che può essere un politico o un mafioso (episodi uguali si sono verificati a Campobello di Mazara e a Castellammare di Stabia).
La sosta di Treselico, difesa dal parroco di quel santuario della Madonna delle Grazie, dice però anche altro. Come il ruolo dei portanti o portantini. Si tratta del posto più ambito e prestigioso in una processione ed è la passerella ideale per chi, pur lontano dalla Chiesa e peccatore manifesto, vuole riscattarsi o dimostrare il suo potere agli occhi della comunità dove vive. Ed è per questo che sarebbe utile conoscere il numero dei credenti praticanti tra i portanti che hanno fatto l’inchino al boss. Probabile che sia è basso perché è così che funziona.
Le processioni, purtroppo, diventano un rito parallelo a quello ufficiale, che spesso sfugge al controllo del clero. E il simbolo di questa contaminazione tra Sacro e Gomorra diventa la “vara”, la definizione dialettale che deriva da bara e indica l’apparato su cui poggia la statua. Ed è sempre la “vara”, soprattutto nelle processioni della Settimana Santa, a chiudere i cortei, facendo sfilare subito dopo le “autorità civili e militari”. Ogni processione è un microcosmo con rigide gerarchie che inverte il senso comune: a contare è la coda del corteo perché i primi, davanti, sono i meno importanti.
Per portare la “vara” capita di sborsare cifre altissime e non è facile rovesciare questa tradizione. Proprio in Calabria, quattro anni fa, i sicari della ‘ndrangheta fecero il tiro al bersaglio contro il portone del priore (laico) della confraternita del Santissimo Rosario. Accadde a Sant’Onofrio, nel Vibonese, ed era il sabato prima di Pasqua. Per la prima volta nella storia del paesino il priore aveva escluso i condannati dalla processione dell’Affruntata, quando la statua della Madonna corre verso il Figlio Risorto. Per decenni alla guida della confraternita c’era stato il padrino di Sant’Onofrio , don Vincenzo Bonavota (mantella azzurra su una piccola tunica bianca e bastone da priore), e i portanti delle statue venivano selezionati con i criteri della fedeltà alla cosca e delle buste gonfie di euro. E quando il nuovo priore ha imposto il sorteggio è arrivata la ritorsione. Colpi contro il portone e processione sospesa, quasi un atto blasfemo. Anche quest’anno l’Affruntata non è stata celebrata perché la popolazione non ha accettato che i portanti fossero scelti tra la Protezione Civile.
Ecco, scardinare questo sostrato di ancestrale devozione popolare è impresa difficilissima. Portanti, soste, statue, soldi, complicità o tolleranza del clero: questo il miscuglio micidiale di tante processioni in Puglia, Campania, Sicilia e Calabria. A Taranto, solo per fare un esempio “economico”, quest’anno le “sdànghe” (sinonimo di “vara”) dell’Addolorata, per la processione del Giovedì Santo notte, sono state battute in un’asta a 85mila euro, 10mila euro in meno del 2010. In pratica i confratelli divisi in gruppi si contendono il ruolo di portanti. I posti vanno a chi offre di più. Un modo di fare penitenza che ricorda le indulgenze che un tempo si vendevano.
Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 8/7/2014