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 2014  luglio 08 Martedì calendario

MEDIASET, TELEFÓNICA E I DESTINI INCROCIATI CON TELECOM ITALIA

Dietro la dichiarazione d’amore di Piersilvio Berlusconi a Matteo Renzi, ufficializzata con una lunga intervista al Corriere della Sera, non c’è solo la grande agitazione sul destino dell’azienda di famiglia, Mediaset, ma anche una discussione più ampia che coinvolge il futuro di Telecom Italia. Leggere per credere.
Due mesi fa il neopremier era per Berlusconi padre il “tassator cortese” e per sua figlia Marina (presidente della Mondadori) “il nuovo che arretra”. Adesso, nelle parole dell’amministratore delegato di Mediaset e fratello di Marina, Renzi ha “ottime capacità di comunicazione”, e non è “solo apparenza ma sostanza”. E quindi è normale “che un imprenditore e manager come me faccia il tifo”.
Mentre Piersilvio fa il tifo, suo padre il 3 luglio scorso è stato a colloquio intimo con il premier, per ben due ore. Secondo il vicesegretario Pd, Lorenzo Guerini, “non si è entrati nel merito” delle riforme istituzionali. Ma se non hanno sviscerato il diritto e il rovescio del Senato elettivo o non, magari hanno scambiato qualche ideuzza sul futuro di Telecom Italia, che non è materia più delicata della Costituzione Italiana.
Nella stessa intervista, Piersilvio B. annuncia l’alleanza strategica con Telefonica, che oltre a dominare il mercato tlc in Spagna e America Latina, è anche il primo azionista di Telecom Italia con il 15 per cento. Con il numero uno Cesar Alierta ha stretto un’alleanza strategica, articolata in varie mosse. La prima: Mediaset vende a Telefonica il 22 per cento della piattaforma televisiva pay spagnola Digital Plus, per una cifra che potrebbe arrivare a 400 milioni. Alierta conferma così la strategia di ingresso nel mercato televisivo, sulla scia di tutti i maggiori concorrenti a eccezione di Telecom Italia. La seconda mossa è l’ingresso di Telefonica in Mediaset Premium (la piattaforma pay del Biscione) con l’11 per cento, per circa 100 milioni. Mediaset si è appena impegnata a investire 700 milioni in tre anni per i diritti televisivi della Champions League, e 373 milioni all’anno per i diritti della serie A di calcio: fanno 600 milioni all’anno per un’azienda che in dieci anni ha perso 400 milioni e nel 2013 ha fatturato 552 milioni.
Qui viene il punto. La più volte annunciata intenzione di costituire un gruppo integrato a livello internazionale viene apparentemente smentita dalla decisione di uscire da Digital Plus, della quale Mediaset rimane comunque fornitore. Ma l’alleanza con Telefonica viene venduta da Piersilvio in chiave di proiezione internazionale. Infine la domanda delle domande (“Dobbiamo aspettarci una Mediaset meno legata alla famiglia Berlusconi in futuro?”) è seguita dalla risposta che spalanca un mondo di ipotesi: “Abbiamo a che fare con concorrenti globali, ricchi di mezzi, molto aggressivi e spietati. Non ci si può non porre il problema di come essere competitivi oggi e in futuro e se un’azienda italiana senza forti alleanze internazionali può farcela da sola”.
Facciamo un passo indietro, a venerdì scorso. L’agenzia Bloomberg diffonde un’indiscrezione secondo cui il governo intenderebbe estendere i poteri di veto del cosiddetto golden power anche alle reti strategiche fuori dei confini nazionali. L’allusione trasparente è a Tim Brasil, un pezzo chiave del fatturato e degli utili Telecom, che Alierta vorrebbe vendere per sfuggire alle sanzioni Antitrust in Brasile, dove Telefonica controlla anche Vivo, il leader del mercato dei cellulari. Il titolo Telecom crolla in Borsa, a dimostrazione che la vendita della controllata brasiliana, un disastro se fatta in fretta, è l’unica speranza di portare a casa i capitali (si pensa a 9-10 miliardi) necessari a rifare la rete telefonica italiana che oggi è tra le peggiori d’Europa.
Tutti stanno investendo sulla larga banda. Lo stesso Alierta, che pure è carico di debiti non meno di Telecom Italia, racconta di aver messo alla frusta tutte le società fornitrici per avere entro tre anni in tutta la Spagna le connessioni a 100 megabit di banda, ciò che serve per far transitare il segnale televisivo ad alta definizione.
In Italia la Telecom è impantanata da anni nella trattativa infinita con la Cassa Depositi e Prestiti, che però, nella migliore e comunque improbabile ipotesi, non sembra in grado di portare più di uno o due miliardi di ininfluenti euro.
Nel settembre dell’anno scorso Telefonica aveva fatto l’accordo con Mediobanca, Intesa San-paolo e Generali per acquisire tutto il pacchetto di controllo di Telecom Italia, il 22,4 per cento in mano alla scatola Telco. L’operazione si è arenata sulla spiaggia di Rio de Janeiro per l’inaspettata reazione dell’antitrust brasiliano. Ma adesso eventuali “larghe intese telefoniche” aprirebbero la strada a sbloccare tutto con questa sequenza: via libera alla vendita di Tim Brasil a prezzo non vile; possibilità per Telefonica di riprendere in mano il gioco rilevando le azioni di Mediobanca, Intesa e Generali, che non vedono l’ora di liberarsene; fusione con Mediaset per dotare anche Telecom Italia di un braccio televisivo come tutti i grandi competitor europei.
Oggi Telecom Italia vale in Borsa 17 miliardi, mentre la famiglia Berlusconi possiede il 41 per cento di Mediaset che vale 4,5 miliardi. In caso di fusione gli eredi Berlusconi avrebbero in mano il 10 per cento di Telecom Italia, una quota abbastanza bassa da risultare a prova di conflitto d’interessi. E si realizzerebbe il progetto a cui il capostipite lavora da anni: mettere in sicurezza Mediaset e lasciare ai figli una buona rendita ma non aziende che non sembrano in grado di gestire con la stessa perizia del padre e del suo sodale Fedele Confalonieri.
Giorgio Meletti e Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 8/7/2014