Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 8/7/2014, 8 luglio 2014
RIVA CONTRO IL PIANO AMBIENTALE ILVA
ROMA
Riva Fire ha depositato al Tar del Lazio il ricorso contro il piano ambientale dell’Ilva.
Nell’ultimo giorno utile – la scadenza dei termini era fissata per ieri – la holding che controlla il gruppo dell’acciaio ha scelto di sottoporre alla giustizia amministrativa la valutazione sulla sua legittimità, impugnando anche gli atti del Governo sul commissariamento dell’Ilva da cui il piano ambientale discende. Il tutto mentre dal Governo trapela la notizia che il Consiglio dei ministri di giovedì prossimo approverà un nuovo decreto-Ilva che garantirà il prestito-ponte delle banche necessario alla sopravvivenza dell’impresa.
Il primo meccanismo giuridico messo in discussione dal ricorso, che in primo grado potrebbe trovare un esito entro un paio d’anni, è rappresentato dalla natura dell’atto: secondo gli azionisti di Riva Fire il piano ambientale è imposto – e non condiviso, come la legge richiede nei casi di Aia – all’impresa, la quale deve realizzare un piano industriale (che non c’è ancora) vincolato agli obiettivi e alle misure cogenti del primo.
In questa impugnazione, depositata presso il Tar del Lazio perché la fonte del commissariamento dell’Ilva è il Governo nazionale, non vengono tanto messi in discussione gli obiettivi, ma le misure specifiche che il piano ambientale definisce: devi fare questo, in questo modo, con queste tempistiche. Tempi, metodi e tecnologie fissati attraverso una strumento unilaterale che determina e modella l’intera attività industriale.
Il piano ambientale, peraltro, contiene uno dei capisaldi del periodo di commissariamento di Enrico Bondi: quella conversione dell’impianto di Taranto al preridotto a cui il Governo ha mostrato di non credere, tanto da scegliere di non rinnovare il mandato allo stesso Bondi, che con i suoi consulenti aveva impostato la bozza di piano industriale – mai diventato effettivo – appunto su questa specifica tecnologia e sul graduale abbandono del più tradizionale coke.
Al di là del fatto che la tecnologia del preridotto sia stata superata con l’insediamento di Piero Gnudi alla guida dell’Ilva, è l’intero impianto giuridico – in cui si crea un cortocircuito fra la definizione degli obiettivi ambientali e la prefissazione delle tecniche industriali con cui ottenerli – a essere contestato. Per questa ragione i legali di Riva Fire hanno deciso di non impugnare soltanto il piano ambientale, ma anche gli atti da cui esso è stato originato: dunque, il ricorso riguarda anche l’insieme di misure speciali che hanno portato al commissariamento dell’Ilva.
Il commissariamento viene contestato in passaggi specifici: per esempio le nomine prima di Bondi e poi appunto di Gnudi. E viene criticato nel suo impianto generale, in cui i legali di Riva Fire ravvisano vizi di costituzionalità e di contrasto con il diritto comunitario.
In particolare, i legali di Riva Fire sostengono la compressione – in misura del tutto sproporzionata – della libertà di iniziativa economica, dato che – oltre agli obiettivi – sono imposti i metodi con cui raggiungerli. Quindi, arrivano a ventilare una sorta di esproprio dei diritti di proprietà, dato che il commissariamento ha sterilizzato gli organi di gestione e "sospeso" l’assemblea degli azionisti. Peraltro, gli avvocati di Riva Fire sostengono il contrasto con il principio dell’equo processo, perché all’azionista viene imputata la responsabilità dell’inquinamento, con conseguente vincolo sulle risorse, anche derivanti da sequestri conservativi per altre ipotesi di reato (i famosi soldi di Milano, a cui hanno a lungo guardato Bondi e Edo Ronchi, e a cui starebbe pensando anche Gnudi, che si sarebbe già recato in Procura), senza che quella responsabilità sia accertata in un processo.
Sui soldi sequestrati per altre ragioni (appunto, gli 1,8 miliardi di euro di Milano), il fatto che per legge non vadano restituiti ai Riva, se il processo si concludesse con un verdetto di non colpevolezza, viene ritenuto dai legali di Riva Fire in contrasto con i principi di ragionevolezza, di non retroattività della norma penale e di presunzione di innocenza.
A chiudere il cerchio di un ricorso che non ha alcuna richiesta di sospensiva – secondo una linea di difesa basata sul non ostruzionismo – c’è l’osservazione di una figura – il commissario straordinario – che ha un potere assoluto in azienda, ma che non risponde in alcun modo dei risultati economici.
Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 8/7/2014