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 2014  luglio 08 Martedì calendario

«IO, IL BOSS E L’OMAGGIO DEI CLAN. COSI’ LA CAMORRA SFRUTTAVA IL SANTO»

Gennaio 2012, Castellammare di Stabia nel napoletano, l’inviato de «Le Iene» Giulio Golia riprendeva in diretta un altro inchino che ha fatto scandalo, sotto il terrazzo del boss camorrista Renato Raffone detto «Battifredo», ottantenne accusato di associazione mafiosa, estorsione, rapine all’epoca ai domiciliari.

Giulio, sei arrivato in paese consapevole che la processione del patrono San Catello avrebbe sostato in quella tappa obbligata?
«Eravamo lì proprio per verificare, me l’avevano raccontato come un fatto che succedeva normalmente, come dicono i napoletani "voce del popolo, voce di Dio", eravamo là per capire se davvero ci sarebbe stato questo inginocchiamento, per sdrammatizzare o al contrario per capirne il motivo».

Alla fine è successo?
«Sì, abbiamo partecipato a tutta la processione raccogliendo anche molte testimonianze, molti dicevano che boss non lo era più, comunque stranamente alla fine ci siamo fermati, il sindaco e le forze dell’ordine abbandonarono la processione, il sacerdote e il vescovo invece proseguirono, la motivazione in un primo momento fu che i devoti che portavano il Santo erano stanchi, si dovevano riposare un attimo».

Nel caso di Reggio, invece, la condanna appare unanime, da parte di istituzioni e Chiesa.
«Da parte del Papa, che ha appena condannato i mafiosi, ho letto invece che un sacerdote avrebbe cacciato un giornalista de Il Fatto Quotidiano, se fosse vero quello che ha detto a mio avviso sarebbe abbastanza grave».

Tu che clima hai trovato durante quel servizio?
«Bisogna esserci, capire gli equilibri, spesso non si tratta solo di affiliazione a un clan ma di rispetto, forse è questa la cosa peggiore, che hanno le persone per questo tipo di istituzione, perché loro la vivono come un’istituzione. La gente mi ha parlato, poi quando hanno iniziato a sentire le domande che facevo, quando hanno capito dove volevo arrivare, un po’ di malumore c’è stato, qualche battibecco».

La solita omertà?
«Non la chiamerei omertà, piuttosto stanchezza, la gente è stanca, queste persone per dimostrare la loro potenza fanno gesti particolari, si comprano scarpe da 500 euro o macchinoni per farsi vedere, la persona perbene che subisce la condanna di avere come vicino di casa il malavitoso a un certo punto sta zitta e pensa "mi faccio gli affari miei"».

Tu alla fine sei salito a casa di questo boss?
«Sì, ci ho parlato, c’erano lui e la sua famiglia, hanno negato la riverenza spiegando che l’uomo era anziano e malato, quindi è l’anziano non il boss, gli ho fatto promettere che non sarebbe più successo e da quello che mi risulta dovrebbe essere così, la processione non dovrebbe più sostare sotto quel terrazzo».

Il clima non sarà stato comunque dei più distesi.
«Bisogna distinguere, capire, da Castellammare a Casal di Principe ho trovato brave persone, ma il contesto è particolare. Alla processione mi sono ritrovato da un lato accanto ai fedeli, come potrebbe essere mia madre, che seguivano il santo per devozione, e dall’altro a persone che facevano capire chi comandava, abbastanza paradossale se si pensa che c’erano il sindaco, le forze dell’ordine, lo Stato».

In quell’occasione spuntarono lenzuoli, lungo il percorso, con su scritto «San Catello ti punirà signor sindaco».
«C’era chi diceva che non bisognava fermarsi sotto casa dei delinquenti, altri che tentavano di spiegare che quel tragitto si era sempre fatto per via di una chiesetta poco distante dal terrazzo, quando il sindaco lasciò la processione fu anche detto che lo faceva solo per visibilità».