Giampiero Calapà, il Fatto Quotidiano 7/7/2014, 7 luglio 2014
«I CLAN HANNO INDICATO IL PAPA COME NEMICO»
[Intervista a Gian Carlo Caselli] –
L’omicidio di Padre Puglisi, le stragi del 1993... non è passato poi tanto tempo: la ferocia delle mafie fa parte della storia di questo Paese. Papa Francesco, dopo la scomunica, è indicato come un nemico dai mafiosi”. Gian Carlo Caselli dal 1993 al 1999 in trincea contro Cosa nostra a Palermo è stato anche capo del Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, dal ’99 al 2001, ed è sicuro: “I boss stanno sfidando papa Francesco e la Chiesa che è con lui”.
Dottor Caselli, che segnale arriva dal carcere di Larino?
Verrebbe da dire che i boss della ’ndrangheta rifiutando la messa accettano la scomunica, magari si pentono. Ma non è così. È una ribellione. Ribadiscono la loro mafiosità. Pretendono di continuare a uccidere, rubare e trafficare droga senza essere condannati come “peccatori”. È una sfida a chi offre una cultura alternativa alla loro violenza. Indicano papa Francesco come nemico e lo sfidano perché non vuole essere loro complice, distinguendosi da una certa Chiesa del passato, spesso prigioniera di un agire troppo timoroso se non connivente.
E in Calabria una processione s’inchina a un boss locale...
Le coscienze dopo la scomunica di Bergoglio non si sono ancora risvegliate. Sarebbe opportuno che tutti i parroci, dell’Italia intera, ripetessero ogni domenica questa scomunica. È importante che la Chiesa non ceda, che non faccia passi indietro. La coraggiosa denuncia del Papa non deve restare isolata, va sostenuta da tutta la Chiesa. Altrimenti rischia di essere occasionale e quindi sterile. Guai se l’inchino fosse accettato. E se il vescovo Francesco Milito ha già detto che prenderà provvedimenti, auspico che faccia la stessa cosa lo Stato.
Il ministro Alfano ha parlato di “rituale ributtante”. Basta?
No. Adesso si deve anche agire. Si deve intervenire nei confronti del Consiglio comunale di Oppido Mamertino e valutarne lo scioglimento.
Il sindaco Domenico Giannetta ha parlato di equivoco, di “una gestualità che va avanti da 30 anni”.
È anche per questo che non si riesce a sconfiggere la mafia. Gli unici che in questo caso hanno fatto il loro dovere sono i carabinieri. So bene che le mafie coltivano un cattolicesimo tutto santini e devozioni ipocrite, confraternite e processioni con inchini ai boss: ma si tratta di una sacralità atea, blasfema, che cerca di nascondere insieme alla lupara, ormai kalashnikov, anche la sua vera natura di sfruttamento, violenza e prepotenza.
A proposito, al nostro cronista Lucio Muso-lino è stato impedito l’ingresso in chiesa. Dopo l’inchino ai boss il parroco ha invitato i fedeli a cacciare un giornalista prendendolo a ceffoni. È normale?
È davvero curioso che si spranghino le porte della Chiesa ai giornalisti anziché ai mafiosi scomunicati.
Giampiero Calapà