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 2014  luglio 07 Lunedì calendario

NON SARÀ LA FED A SALVARCI DAL SUPER-EURO


La riunione di giovedì della Bce è passata senza che al suo termine siano stati annunciati provvedimenti aggiuntivi a quelli introdotti a giugno. Le linee della politica monetaria e bancaria sono state confermate e il professor Draghi ha pure confermato che ciò accade perché, purtroppo, non ci sono novità positive da segnalare. L’economia europea continua a muoversi stancamente, senza accennare ad alcuna capacità di riassorbimento della disoccupazione, in particolare di quella giovanile. Per smuovere le acque in giugno era stato deciso di mettere a disposizione delle banche mille miliardi di euro nel programma di “targeted Ltro”, ovvero risorse finalizzate al finanziamento delle piccole e medie imprese e delle famiglie. L’operazione partirà a settembre, ma molti osservatori non si aspettano effetti rilevanti almeno nel breve periodo. La ragione di questa perplessità sta nel fatto che è la domanda di credito di qualità a languire, e anche nella modestissima forbice dei tassi, quella dalla quale le banche dovrebbero trarre i propri guadagni. In effetti, senza decisivi passi avanti verso una politica fiscale e di bilancio unica, che richiederebbe una ripresa vigorosa della integrazione, è ormai evidente che la Bce non può da sola smuovere le ruote dell’enorme convoglio europeo, impantanato in una politica dell’austerità propugnata in maniera avventata dalla signora Merkel e accettata dai suoi concittadini, dopo che alle conseguenze peggiori della crisi Germania e Stati Uniti avevano tempestivamente risposto con massicce iniezioni di domanda mediante aumenti delle spese pubbliche. A ben guardare, tuttavia, la politica della Bce appare assai meno espansiva di quella della Fed. Il ristagno del credito in Europa, specie nei paesi periferici oppressi dai disavanzi eccessivi e dalla urgenza di far credere che il proprio debito pubblico sia sostenibile, è assai maggiore di quanto sia negli Stati Uniti, paese nel quale le banche fanno ormai da parecchi anni affluire risorse all’economia, specie tramite i mutui edilizi e quelli per gli acquisti di automobili. Anche nel Regno Unito accade lo stesso, tanto da indurre una vera e propria nuova bolla edilizia, che non ha nulla da invidiare a quella esplosa nel 2007. Ad essa vanno tutte le preoccupazioni della Banca d’Inghilterra. A chi lo esorta a rialzare i tassi di interesse tuttavia, il governatore Carney, appoggiato da una ancor più decisa Janet Yellen, risponde che le bolle non si controllano facendo oscillare i tassi, perché si richiedono oscillazioni tali da mettere in pericolo l’intera economia reale. A noi vecchi sembra di assistere alla riproiezione di un film degli inizi degli anni sessanta, quando il Rapporto Radcliffe esortò il governo inglese a sbloccare la politica dei tassi. Allora la ’riscoperta della politica monetaria’ diede la stura a decenni di violente oscillazioni nella produzione e nei prezzi. Lo avevano previsto gli economisti inglesi allievi di Keynes, come Kaldor, Kahn e Mrs. Robinson, aggiungendo che, liberando i tassi di interesse, sarebbero ripartiti i movimenti di capitali a breve tra piazze finanziarie. Come infatti avvenne, portando in dieci anni alla fine del sistema dei cambi fissi. Ora, dopo una nuova fase di moneta a buon mercato, le autorità monetarie cercano di tornare a rendere operativa la manovra dei tassi, in modo da riuscire a far scendere i livelli dei loro attivi, gonfiati dalle politiche non ortodosse. E’ opportuno tuttavia sottolineare che la Bce ha gonfiato i propri attivi assai meno del la Fed, un po’ per la minore reattività di coloro che domandano finanziamenti in Europa e un po’ per rispettare le idiosincrasie dei tedeschi e dei loro vassalli del Nord Europa. Ma è anche onesto riconoscere che è la struttura stessa della finanza europea ad avere caratteristiche diverse. Perché, ad esempio, il prevalere delle piccole e medie imprese le rende incapaci di ricorrere a finanziamenti non bancari, ma che sono anche meno appetibili per le banche, che preferiscono prestare alle imprese grandi ’too big to fail’. E questo ha opportunamente ricordato Mario Draghi nella conferenza stampa di giovedì scorso. Conseguenza della minore leva della Bce rispetto alla Fed è che il tasso di cambio tra euro e dollaro si mantiene imperturbabilmente elevato: dai primi di giugno a oggi non si è mosso da 1,36, malgrado le misure annunciate dalla Bce proprio nella riunione di allora. E’ un livello al quale gli esportatori tedeschi fanno ancora profitti ma quelli del resto della Ue non sono incentivati a lanciarsi su nuovi mercati e nuovi prodotti. Si guarda dunque in Europa con ansia a quel che fa Janet Yellen. Ma non da è quella direzione che può venire la salvezza. Pare di rivivere gli anni venti, quando gli inglesi speravano che i prezzi americani crescessero e costringessero la Fed a stringere i freni facendo salire il dollaro. Allora accadde il contrario, quando Roosevelt svalutò il dollaro appena arrivato al potere. Forse hanno ragione Carney e la Yellen a dire che le bolle speculative non si sgonfiano facendo risalire i tassi, perché si rischia di buttare il bambino con l’acqua del suo bagnetto. Ma così si continua a permettere che le bolle patrimoniali continuino allegramente a gonfiarsi e di certo chi le manovra non si preoccupa molto dei rapporti massimi tra mutui e redditi dei prenditori fissati dalla Banca d’Inghilterra, talmente ampi da permettere ancora lunga vita all’ondata di rialzi dei prezzi delle case nel Regno Unito. Ma anche lì incombono le elezioni (2015) e il signor Carney sa bene che non ci si aspetta da lui la distruzione della bolla di sapone. Lo abbiamo ripetuto tante volte, ma è sempre vero: non ci si può aspettare, da parte delle classi politiche dell’intero mondo sviluppato, che a sporcarsi le mani siano sempre e solo le banche centrali. Come dissero in passato molti banchieri centrali, loro scolpiscono con l’accetta e dove colgono non fanno carezze.

Marcello De Cecco, Affari&Finanza – la Repubblica 7/7/2014