Paolo Mauri, la Repubblica 7/7/2014, 7 luglio 2014
MANGANELLI PROFESSIONE FOTOREPORTER
Giorgio Manganelli cominciò tardi a viaggiare, spinto dalle riviste e dai quotidiani cui collaborava. A Parigi ci arrivò quando aveva già cinquant’anni, in Oriente approdò negli anni Settanta avanzati (lui era del ’22). Dire che fosse un viaggiatore eccentrico è dir poco: in realtà Manganelli ritrovava se stesso con stupore in quei luoghi remoti cercando nelle parole il ritmo e il senso del viaggio e, alla fine, la sua vera consistenza. E l’Italia? Era un altrove molto variegato. Molti ricordano la pagina in cui Manganelli negava l’esistenza di Ascoli Piceno, o perlomeno diceva di averla visitata in una esistenza precedente e di aver bevuto l’anisetta, ma ora, si chiedeva, esiste Ascoli Piceno? E l’Abruzzo? Quando il quotidiano Il Messaggero (siamo nel 1987) gli chiese di fare un viaggio in Abruzzo, Manganelli accettò, anche perché (anche qui, suppongo, in una esistenza precedente) ci era già stato.
E spesso aveva favoleggiato con la figlia Lietta di una gita in quei luoghi che insieme non fecero mai, mentre una volta andarono a Barcellona. Ora sono saltate fuori alcune fotografie scattate da Manganelli durante i suoi reportage e vengono esposte a Loreto Aprutino, luogo di cui naturalmente Manganelli non parla. Sono belle foto? Niente affatto. Diciamo che sono appunti fotografici, venuti alla bell’e meglio e tuttavia si accoppiano bene con le descrizioni del Manga viaggiatore. Sulla cattedrale di Atri scrive: «La cattedrale è una mole di indimenticabile potenza geometrica – ed ora che ho scritto a caso questa parola, mi accorgo di quanta geometria abiti Atri». E giù a descrivere il portale cuspidato e tutta la struttura che è un solido, «un puro pensiero geometrico»… Gli articoli sull’Abruzzo sono raccolti nel volume La favola pitagorica (Adelphi) ma per saperne di più si può leggere il diario di Pino Coscetta ( Viaggio in Abruzzo con Giorgio Manganelli , Solfanelli) . Coscetta, promosso da Manganelli “automedonte” era il caporedattore del Messaggero che ideò il viaggio e accompagnò lo scrittore in giro per l’Abruzzo, o forse meglio gli Abruzzi. Freddissimi e sorprendenti. A Pescasseroli Coscetta presenta allo scrittore un tipo taciturno che si ricorda benissimo di Benedetto Croce, nato appunto a Pescasseroli. E se lo ricorda perché da bambino dava al filosofo dei bei calci negli stinchi. Sebbene consulti spesso la guida rossa del Touring, Manganelli non ama fare il turista e meno che mai il turista convenzionale. Il suo è sempre un viaggio dentro se stesso, momentaneamente reincarnato nei panni del viaggiatore e spesso del viaggiatore affamato. Trova l’Aquila, ovviamente non ancora terremotata, una città orientale. Manganelli spoglia le città, le ammira e un poco le irride. Denuncia il finto medioevo, sorvola sugli eremi che richiedono troppa strada a piedi. Ad Atri ritrova il punto in cui aveva appoggiato molti decenni prima la sua lambretta, chiamata Bakunina. Manganelli in lambretta? Maria Corti se lo ricordava benissimo e del resto lei lo conosceva dal ‘47. Anche Gadda era stato portato su uno scooter da Mario Picchi, credo ad Ostia. E Malerba, in un suo racconto, fa dire a Lucia Mondella, in procinto di incontrare l’Innominato, che aveva il cuore che batteva come un motore di lambretta, «anche se le lambrette non esistevano ancora ai miei tempi, scusate il paragone». Vorremmo saperne di più sulla lambretta nella letteratura italiana e su quella di Manganelli in particolare. Forse, accettando di tornare in Abruzzo, inseguiva solo il fantasma di se stesso, usando città e monumenti come un bel paravento.
Paolo Mauri, la Repubblica 7/7/2014