Niccolò Ammaniti, la Repubblica 7/7/2014, 7 luglio 2014
L’INSOSTENIBILE UTILITÀ SOCIALE DELLE FIGURACCE
Ho un incubo ricorrente. Sono nello stadio Olimpico. Le curve e le tribune gremite di gente che aspetta un concerto di musica rock. Io mi trovo dietro le quinte, tra cavi e casse acustiche e mi domando cosa diavolo ci faccio lì. Arriva un tipo basso, sempre lo stesso. Al collo ha appeso il pass con su scritto “Milo Stangoni”. Pizzetto da capra, capelli tinti di nero corvino incollati al cranio, bermuda da cui escono i polpaccioni pelosi e scarpe da basket senza calze. Mi sorride e mi porge una meravigliosa chitarra elettrica verde pisello, penso una Fender Stratocaster. – Vai. Dai, – mi spinge stringendo il pugno. – Dove? – chiedo io. – Come dove? Lì – mi indica il palco. – E che devo fare? – Come, che devi fare? Devi suonare. Scuoto la testa mentre l’angoscia mi travolge. – Io? Ma io non so suonare. Non ho mai suonato in vita mia.
Milo scoppia a ridere come se avessi fatto la battuta più spiritosa del mondo. – Dai, smettila. Non li senti? Sono lì, tutti per te. Per sentirti suonare come sai fare solo tu.
Da qui, con un improvviso salto temporale, mi ritrovo al centro del palco con la Fender in mano, accerchiato da una band tra fumi e fasci di luci. La folla mi incita, poi un silenzio innaturale cala sullo stadio. Tocca a me. Li guardo, guardo le corde scintillanti della chitarra, osservo il plettro che stringo tra pollice e indice e penso: – Oddio che figura di merda. E mi sveglio.
(...) L’estate scorsa ho passato un mese con mia nipote Zoe, dodici anni. Grande appassionata degli One Direction, la tipica adolescente inquieta e problematica, con tutti i pregi e i difetti di chi si sta trasformando da girino in rana. È una ragazzina con lo sguardo intenso, assai spiritosa sugli altri e assai poco su se stessa. Zoe ha una caratteristica che me l’ha resa subito simpatica. È terrorizzata dalle figuracce. Vive sul ciglio di un burrone. Basta un passo falso ed ecco una figura di merda. Quasi sempre noi non le notiamo ma lei sì, tantissimo, e si capisce che ci soffre veramente quando le capitano. Insomma, poverina, ha una vita di sofferenza. Le figuracce su di lei hanno effetti fisici e posturali spettacolari, le gote s’imporporano, gli occhi puntano verso il basso, la sudorazione aumenta, la schiena si curva come se stesse sostenendo un peso, la voce si trasforma in un sussurro. Tutti questi sintomi possono essere facilmente scambiati, dall’osservatore inesperto, per attacchi di timidezza. Ma è come confondere la scarlattina con la rosolia.
L’ingrezzarsi (a Roma fare una figura di merda si dice anche fare una grezza) e la timidezza sono tratti della personalità diversi, ma con una base biologica comune. I timidi sono più sensibili alle figuracce. È difficile, a priori, stabilire cosa sia una figura di merda per Zoe. Da quello che ho potuto capire nel mese passato con lei, una sensazione di inappropriatezza, non ti senti in linea con i codici comportamentali che fanno di te un tipico e irreprensibile rappresentante del genere umano. La figura di merda ti smaschera, ti leva di dosso il manto bianco e rassicurante del conformismo e mostra a tutti quelli che ti sono intorno l’anima da pecora nera, da diverso, che tu con fatica stai cercando di nascondere. Durante l’adolescenza poi è molto peggio, stiamo cominciando a indossare quell’abito che ci definirà per il resto della nostra esistenza. Ogni cosa che diciamo, ogni giudizio che esprimiamo è attentamente vagliato da una commissione severa e invisibile che decide se stiamo in alto o in basso nella piramide, se siamo fighi o sfigati, perdenti o vincitori.
Un esempio può aiutare a capire: Io e Zoe siamo a Londra in un ristorante e abbiamo finito di mangiare.
– Senti, vai dal cameriere e chiedigli il conto che dobbiamo andare. Digli: pliis de bil, – le spiego. – Non posso, – mi risponde molto seria come se le avessi chiesto, che ne so, di diventare buddista.
– Perché non puoi?
– È troppo una figura di merda.
(...)Un’altra volta siamo in motorino sul lungotevere. Siamo felici, cantando la Canzone di Marinella . Uno davanti inchioda all’improvviso e noi finiamo giù. Volo a pelle di leone rovinandomi mani e ginocchia. Lei ovviamente rimane in piedi, perfetta, meravigliosa come Kate Moss al centro della passerella, e sfila tra le macchine ferme. Io nonostante abbia lasciato parte del mio derma sui sampietrini mi volto, preoccupato per Zoe e la vedo. Sta sul marciapiede. Fronte rivolta verso i palazzi, ferma come un piantone. Non capisco cosa stia facendo. Sulle prime penso che fa così perché non vuole vedere i resti di suo zio sparsi sul selciato. Poi penso che ha avuto una reazione post traumatica, come capita a chi è sopravvissuto allo tsunami. Alla fine, mentre qualcuno mi viene a scrostare da terra, capisco. Sta vivendo una figura di merda terribile. Nell’incredibile mondo di Zoe un incidente stradale è troppo una figura di merda perché tutti ti guardano e ti vedono imperfetto, ferito, con i vestiti strappati e implorante aiuto.
– Zoe, ma le figure di merda si possono fare da soli? – le ho chiesto qualche giorno dopo, ancora acciaccato.
Mi ha guardato strano. – In che senso?
– Che ne so. Immagina che stai sola e all’improvviso ti scappa una scoreggia. È una figura di merda?
Non ci ha riflettuto un attimo. – No. Assolutamente.
– E se invece, che so, ti scappa una scoreggia in classe?
– Non mi ci far neanche pensare!
Quindi ricapitolando, secondo mia nipote, le figuracce le fai solo quando sei in presenza di altri. Questo è molto vero.
Mi sono sempre chiesto perché proviamo questo terribile imbarazzo, questa sensazione di gelo e isolamento quando per un errore marchiano e imprevisto, per sbadataggine, ci discostiamo da quelle che sono le comuni regole del comportamento? Che vantaggi evolutivi porta la figura di merda al genere umano?
Molti antropologi sostengono che il ballo e la musica sono attività umane che servono a rendere più coeso il gruppo. Le prime testimonianze di queste pratiche risalgono addirittura al paleolitico. Gli uomini primitivi si sentivano parte di un gruppo ballando e battendo a ritmo sui tronchi. Secondo me, ma non ho nessuna prova scientifica a sostegno, la figura di merda svolge una funzione simile. La vittima, il gaffeur, il discriminato, funziona da catalizzatore per la coesione del gruppo che si riconosce nelle regole che gli sono state imposte. Ci si sente rassicurati, più sereni, quando ci si confonde con i propri simili, a discapito del disgraziato che è scivolato ed è finito nel fango. La figura di merda rimane allora prerogativa dei gregari, quelli che nella vita seguono le leggi imposte dall’alto. Il leader, il capo, è in grado di trasformare la figura di merda in un atto stravagante e carismatico che lo distingue e lo rende in fondo (quasi) simpatico.
Niccolò Ammaniti, la Repubblica 7/7/2014