Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 6/7/2014, 6 luglio 2014
LE 57 TARANTO D’ITALIA BONIFICHE MAI FATTE E MALATTIE IN AUMENTO
Ci siamo spesso occupati, e a ragione, nella settimana appena trascorsa della situazione di Taranto: inquinamento, morti, vite sequestrate dalle polveri, istituzioni prigioniere della propria inconsistenza, un rapporto perverso tra Stato e grandi aziende che sopravvive sull’equivoco della scelta obbligata tra vita e lavoro. Eppure quel che abbiamo raccontato per Taranto può essere moltiplicato almeno per 57 (e questo senza tener conto dei siti militari). La mappa che vedete accanto è infatti quella delle Taranto sparse per l’Italia: almeno una per regione, la maggior parte nel Centro-Nord. Tecnicamente si chiamano SIN, siti di interesse nazionale: sono quel che resta di qualche decennio di industria chimica, di petrolio, di metallurgia, di una vecchia fiducia nel progresso buono di per sé. Ora stanno lì, spesso abbandonati, e continuano in silenziosa osmosi a vendicarsi della terra che li ospita senza che nessuno - governo, regioni, privati - faccia niente. Anzi no, per non generalizzare va detto che Mario Monti è riuscito a ridurli di ben 18 unità: non facendo le bonifiche, per carità, ma semplicemente affidando 18 bombe ecologiche alla cura delle regioni e togliendola a quella dello Stato (nella cartina, le vedete in rosso). Un pezzo di decrescita non proprio felice in quello che fu chiamato decreto Crescita. Fuori dalle magie burocratiche, però, fanno sempre 57 siti e - se si eccettua l’Acna di Cengio, in Liguria, e poco altro - non c’è uno di questi posti in cui si possa dire che siano iniziati davvero i lavori di messa in sicurezza del territorio.
Non solo Taranto e Brindisi in Puglia, non solo Priolo e Gela in Sicilia, non solo Bagnoli o il martoriato litorale Domizio: ci sono Brescia, Mantova, Trieste, Trento, Massa Carrara, Milano e Sesto San Giovanni, Fidenza, Venezia, la laguna di Grado e decine di altri luoghi che l’immaginario collettivo non associa a disperazione e morte. La pianura padana e persino su fino alle Alpi sono punteggiate di Sin. Circa sei milioni di italiani – facendo un conto a spanne – vivono in zone contaminate, in cui l’incidenza delle malattie è straordinariamente più rilevante che nel resto della penisola. Un solo dato. L’ultimo aggiornamento dello studio Sentieri (acronimo che sta per Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) rivela che nei Sin i tumori sono aumentati fino al 90% in soli dieci anni (almeno a stare ai dati dei 18 siti in cui esiste il Registro dei tumori, che pure sarebbe obbligatorio per legge). Anche i ricoveri in eccesso aumentano esponenzialmente: a Milazzo (+55% per gli uomini e +24% per le donne) e a Taranto (+45 e +32), ma pure nella ricca Brescia dell’area Caffaro (+79 e +71%) e ai Laghi di Mantova (+84 e + 91), a pochi chilometri dalle dolcezze metafisiche del Festivaletteratura.
Di fronte a questi dati, correre a bonificare sarebbe una priorità morale, oltre che un obbligo di legge, eppure non c’è traccia di fretta nell’atteggiamento delle autorità. I soldi pubblici sono pochi e spesso male usati (alla Procura di Palermo è aperta un’inchiesta sull’uso dei fondi europei per le bonifiche in Sicilia), i responsabili privati difficilmente pagano per i danni arrecati alla collettività.
Forse il motivo risiede nel fatto che a scorrere l’elenco delle aziende coinvolte si trova un bel pezzo del capitalismo che opera in Italia: oltre all’Ilva, l’Eni (un po’ dovunque nella penisola), l’Enel, la Ies a Mantova, Thyssen Krup a Terni, Nuovo Pignone e Solvay in Toscana, Erg, Tamoil, Eternit, la Saras dei Moratti in Sardegna.
Di fronte a questa situazione “la reazione dei governi, invece di far rispettare la legge, è quella di cercare un’alleanza con la grande industria”, dice Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi italiani: “In una serie di provvedimenti si è cercato, con la scusa delle semplificazioni, di ridurre la portata del principio ‘chi inquina paga’, caricando sulla collettività spese che andrebbero sostenute da chi è responsabile del problema”. Enrico Letta tentò il colpo di mano diretto proprio sulle bonifiche dei Sin, ma pure il governo di Matteo Renzi non sembra essersi liberato dalla sindrome dell’appeasement con la grande industria: “Nell’ultimo decreto Ambiente firmato dall’attuale ministro Gian Luca Galletti – spiega Bonelli – si alzano i livelli tollerati di inquinamento per i siti militari col risultato che ora le bonifiche in molti posti si potrà evitare di farle addirittura per legge. E pure sugli scarichi in mare si consente di elevare i limiti in rapporto alla produzione: quando in futuro andremo a chiedere agli inquinatori di bonificare le acque, ci diranno che hanno inquinato a norma di legge”.
Marco Palombi