Giacomo Galeazzi, La Stampa 6/7/2014, 6 luglio 2014
DE RITA: «IO CATTOLICO, ORA HO CAPITO I MIEI ERRORI CON OTTO BAMBINI»
«Il Papa ha toccato una questione fondamentale tra le mura domestiche. Purtroppo per gli impegni di lavoro ho potuto dedicare poco tempo a giocare con i miei figli, ma oggi che sono adulti vengono ogni domenica a fare la comunione con me in parrocchia». Classe 1932, otto figli e 14 nipoti, il sociologo cattolico Giuseppe De Rita, presidente del Censis, da mezzo secolo analizza, osserva e anticipa i cambiamenti dell’Italia.
Nel suo discorso all’Università del Molise, Francesco ha raccomandato ai genitori di «perdere tempo con i loro bambini». Lei lo ha fatto?
«Poco. In genere giocavamo un’oretta la sera, al termine della giornata di lavoro. Ho sempre condotto una vita carica di impegni professionali e ciò ha inevitabilmente sottratto occasioni per i momenti in famiglia. Poi gli anni volano e quando te ne rendi conto i figli sono già grandi. Per questo condivido l’esortazione semplice e profonda del Papa. Sono parole sagge, di un educatore con decenni di esperienza sul campo, utili soprattutto per i papà e le mamme di questa epoca nevrotizzata e sempre di fretta. Corriamo dalla mattina alla sera e il rapporto con l’infanzia ne esce penalizzato. E’ un errore del quale si prende coscienza troppo tardi per rimediare».
Bergoglio si riferisce alla sua esperienza di confessore. Le è mai capitato di sentirsi chiedere in confessionale quanto tempo dedicava ai suoi figli?
«No, forse perché ho sempre avuto un unico, austero confessore, il vescovo rosminiano Clemente Riva. Anche lui come me era poco sensibile alla dimensione del gioco. Francesco parla giustamente di “scienza” e in effetti i momenti dedicati ai bambini hanno reciproche virtù benefiche: fanno bene ai padri quanto ai figli. Quando sembra di perdere tempo, in realtà si realizza il guadagno più grande».
Con otto figli le bastava un’ora di gioco a sera?
«Avrei potuto applicarmi maggiormente ma avevo un approccio troppo serio per sviluppare la componente ludica negli affetti familiari. Nonostante questi limiti, non c’è mai stato bisogno di programmare granché. Scattava subito l’intesa e cominciavamo a giocare a qualunque cosa senza doverci pensare troppo. Non serviva organizzarci. Avveniva tutto in maniera immediata e molto naturale, senza forzature. Quei momenti non sono mai stati per me un obbligo da assolvere, ma una gioia spontanea, la condivisione di uno stato d’animo. Insomma la quantità e l’intensità di quei giochi compensavano il poco tempo che avevo libero per loro. In fondo è andata bene, anche questa è stata una crescita cristiana e così ancora oggi i miei “bambini” vengono tutti in chiesa a prendere la comunione con me».