Sylvie Coyaud, Domenica – Il Sole 24 Ore 6/7/2014, 6 luglio 2014
LA VARIETÀ DEI CERVELLI AUTISTICI
Da trent’anni Temple Grandin parla di sé in libri, articoli scientifici, conferenze internazionali o conversazioni con scolaresche. Racconta l’autismo che la priva delle emozioni e dei termini astratti (cosa significherà per lei «informazione»?), la sua empatia con certi mammiferi, gli incontri/scontri con i ricercatori «neurotipici» e non, che accorpano lungo un unico spettro i disturbi del comportamento e della comunicazione, come se fossero la stessa cosa, che la caratterizzerebbero insieme a una percentuale crescente della popolazione americana. È ancora «l’antropologa su Marte» per la quale siamo degli alieni, che Oliver Sacks ci aveva fatto conoscere nella raccolta dal titolo omonimo (al maschile): spaventata dalla propria mente e fiera delle sue facoltà, di essere una docente di scienze animali all’Università del Colorado. Leggere Il cervello autistico è come ritrovare una vecchia amica. Esasperante: si ripete, ancora le mucche nel ranch della zia! Si contraddice: i geni non indicano nulla di certo, ma ogni sintomo va studiato «stringa di Dna per stringa di Dna». Perde il filo: che c’entrano i mitocondri con la falsa correlazione tra vaccino trivalente e autismo? Un’amica in splendida forma intellettuale. Affronta la letteratura scientifica con un rasoio di Occam affilatissimo prima di fare domande scomode agli autori, soprattutto se hanno curato la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali, la Bibbia della psichiatria americana. Invece di far chiarezza, accrescono una confusione dannosa per tutti, pazienti, famiglie, sanità pubblica e privata, scrive lei. La critica pare giusta: in Europa le diagnosi infantili restano stabili da decenni invece di aumentare come negli Stati Uniti.
Prova nuove tecniche di neuro-imaging e le valuta. Quando si è rotta la sua «macchina degli abbracci», non l’ha riparata, adesso «abbraccia le persone» e appena la invitano s’infila invece in macchine dure e rumorose, ne esce di corsa per guardare sullo schermo del computer il suo cervello atipico e interpretarne le differenze rispetto a quello neurotipico. Cervelletto troppo piccolo, il controllo motorio non è il suo forte; amigdala troppo grande, la paura è sempre presente, ma adesso è materia e non mente, biologia non stigma psicologico, è meno temibile di quando era una minaccia astratta; aree visive immense, ecco perché pensa per immagini.
A sorpresa, l’amica si rivela auto-critica. L’imaging le dà soddisfazioni, lei è fatta così, ama i meccanismi, gli incastri. Ma non è vero che ogni sintomo si legge nelle parti che «si illuminano».
L’autismo si divide in pensiero verbale, per immagini o per pattern, lo dimostrano Newton ed Einstein, i grandi compositori «matematici», i genietti «altamente funzionanti» di Silicon Valley, gli «aspi felici» ai quali la sindrome di Asperger fa cogliere ogni particolare, meglio di Sherlock Holmes. No, non può essere vero perché ogni volta che qualcun altro identifica una categoria e ci mette un’etichetta, lei ha pronto un contro-esempio e altre domande.
Questa volta, il libro ha una struttura coerente: storia, definizioni, neuroscienze, genetica, percezioni sensoriali del l’autismo. Alla fine le ricerche e le esperienze di vita vissuta, non solo dell’autrice, confluiscono in «Uscita dalla marginalità», un capitolo che i genitori di bambini autistici leggeranno e rileggeranno con gratitudine. Crescere quei bambini costa una fatica enorme, ma adesso siamo in molti a capirlo, a condividere la curiosità e l’apprensione per quello che diventeranno da grandi. Certo, Temple Grandin si contraddice di nuovo quando elenca i lavori adatti ai pensatori verbali, per immagini o per pattern, ma ce lo aspettavamo. Sappiamo già che i cervelli autistici sono fatti così, diversi dai nostri e diversi l’uno dall’altro quanto i nostri. Ce l’ha insegnato lei.
Sylvie Coyaud, Domenica