Chiara Valerio, Domenica – Il Sole 24 Ore 6/7/2014, 6 luglio 2014
AMORI IMPOSSIBILI DI UNA REGINA
«Essex non era mai stato in grado di distinguere con chiarezza tra un fatto personale e un ragionamento». Robert Devereux, secondo Conte di Essex è il coprotagonista indiscusso di questo ritratto, in forma di dittico, scritto da Lytton Strachey nel 1928 e ora ripubblicato da Castelvecchi (2014, traduzione di Maria Teresa Calboli) con il titolo Elisabetta e il Conte di Essex.
La protagonista è, Elisabetta, regina d’Inghilterra e di Irlanda dal 1558, sotto le vesti della quale, come scrive Strachey, è possibile guardare grazie al privilegio della posterità. Le crinoline di Elisabetta sono tuttavia le cortine dietro le quali lo spirito del medioevo va in pezzi, l’aristocrazia «creata dal l’astuzia di Enrico VIII» finisce col sopraffare «il potere di chi l’aveva messa al mondo», è il luogo, segreto e sempre dibattuto, nel quale la regina tiene in pugno i regnanti d’Europa e il loro desiderio di fondersi con l’Inghilterra. Assunta così la Storia come palcoscenico e le gonne della regina come cortine, il ruolo, assegnato dalla prosa e dalla ricostruzione di Strachey, al giovane Essex, invero alla sua caduta, è «l’agonia spettrale di un mondo (feudalesimo, gesta eroiche, cavalleria) ormai scomparso».
Così Elisabetta, che ha cinquantatre anni e il conte di Essex, che non ne ha nemmeno venti, diventano inseparabili. Lui è bello e ambizioso, lei è affascinante e potente, in entrambi dimorano ardore, paradosso e incertezza, per entrambi l’altro è l’unico. Per lui: «Affetto, ammirazione, esasperazione, disprezzo: a turno provava ognuno di questi sentimenti; talvolta in contemporanea (...) era impossibile sfuggire al fascino di quella intelligenza rara, con i suoi intrighi seducenti e tutte le sorprese di quella vivace energia». Per Elisabetta: «Essex era bello, nel pieno delle forze, e con un titolo da tramandare ai posteri; nemmeno lei poteva opporsi seriamente alle sue nozze. Andò su tutte le furie, ma poi capì che i loro rapporti erano unici e non avevano nulla a che fare con una banale vita domestica. L’affascinante sposo continuò a starle vicino e a lusingarla con l’ardore romantico di sempre; ed Elisabetta comprese che una regina poteva ignorare una moglie». E tuttavia troppo amore equivale a «non abbastanza». Non sono mai soli e non possono d’altronde, lei è la regina d’Inghilterra, intorno c’è «quella strana corte» di intrighi, interessi, veleni e torture stratificate, c’è l’ondivaga, temporeggiante ragion di stato di lei e l’ambizione, talvolta la vanagloria e certo la Fortuna di lui, ci sono i di lui consiglieri tra i quali sfavillano i fratelli Bacon, Anthony che lo ama con «l’amore cupo di un malato» e Francis che, causa mancanza di poesia e una intelligenza cangiante come pelle di serpente, finirà in rovina. Con una prosa, colta e mondana, brillante e acuminata, Strachey, attraverso l’amore di Elisabetta e di Essex, per mezzo delle loro relazioni, racconta le contraddizioni emotive, politiche, culturali, concluse le quali e morta Elisabetta, «l’Inghilterra scoprì di essere un Paese progredito».
Ma Strachey racconta soprattutto, con una lingua che né è sentimentale, né è romantica, ma che aspira a godere della luce riflessa di entrambi gli aggettivi, come l’amore nasca da una forma di sproporzione, qui dichiarata e gerarchica (Elisabetta è la regina ed Essex il suo favorito) e come esso si riproporzioni, qui in modo anagrafico (Elisabetta è una donna anziana, Essex un ragazzo e dunque lei ha per lui tutte le accortezze, e di certo lo vizia, che avrebbe un uomo fatto per una donzella) e quanto, ogni amore che balli la Volta intorno al corpo, senza mai sfiorarlo, finisca in una congiura, reale o evocata, qui religiosa. «L’aveva tradita in tutti i modi: con la mente, con il cuore, con le azioni, come regina e come donna, di fronte al mondo intero e nella più dolce intimità del suo cuore (...) aveva scambiato le esitazioni della sua forza con le debolezze di un animo sottomesso? Avrebbe avuto un triste risveglio». E così sarà, ma per entrambi. A lui, il buio della morte, a lei, quello della malinconia.
Chiara Valerio