Francesca Cerati, Il Sole 24 Ore 6/7/2014, 6 luglio 2014
IL DIFFICILE COMPITO DI LEGGERE IL CERVELLO
L’evoluzione delle tecnologie di imaging, la genetica, la chimica del cervello e la potenza dei computer promettono di espandere le informazioni sul funzionamento della mente e dei disturbi neurologici. Ma davvero stiamo svelando le nostre più profonde paure e desideri, il nostro passato e il nostro futuro sotto forma di immagini colorate? Questa l’idea dei neuroscienziati. Un’idea che vale miliardi di dollari. Al punto che la sfida fra Vecchio continente e Nuovo mondo, che l’anno scorso hanno lanciato a pochi mesi di distanza due maxi-progetti nel settore delle neuroscienze, diventa un’alleanza ed entra nell’agenda del prossimo G20, in programma il prossimo novembre a Brisbane in Australia. La partnership fra lo Human Brain Project europeo e la Brain Mapping and Therapeutics Initiative americana è stata annunciata a Milano da Babak Kateb, lo scienziato statunitense fondatore della Society for Brain Mapping and Therapeutics, intervenuto al convegno "Il futuro della sanità" promosso nel capoluogo lombardo da ab medica.
Il progetto Ue, al quale sarà destinato oltre 1 miliardo di dollari in 10 anni, punta a costruire una sorta di "cervello artificiale" in formato elettronico, riproducendo su un unico super-computer tutti i meccanismi cerebrali finora noti. Durata decennale anche per il progetto Usa, presentato dal presidente Barack Obama e forte di un finanziamento di 100 milioni di dollari per il 2014. Lo scopo della ricerca è mappare l’attività dei 100mila neuroni che compongono i circuiti cerebrali dell’uomo, in modo da ottenere una mappa completa della mente.
L’alleanza che unisce nel nome della scienza le due sponde dell’Oceano ha un "nemico" comune: nel mondo circa un terzo della popolazione adulta soffre di un disturbo mentale come depressione, ansia o schizofrenia. Le patologie del cervello rappresentano il 13% del totale malattie. Con costi per centinaia di miliardi. «La ricerca sul cervello deve diventare una priorità nell’agenda politica europea: solo con un network scientifico di alta qualità potrà disinnescare la "bomba" sociale rappresentata dalle malattie del cervello, che riguardano 179 milioni di europei con costi sanitari che ammontano a quasi 800 miliardi di euro all’anno» sottolinea Monica Di Luca, neopresidente eletto della Federazione europea di neuroscienze (Fens). Dall’ansia all’abuso di droghe, dall’epilessia all’autismo: le malattie del cervello costano 296 miliardi di euro per i soli ricoveri (il 24% dei costi sanitari diretti in Europa), a cui si aggiungono i costi dei trattamenti (stimati in 186 miliardi di euro) e la mancanza di produttività lavorativa (con una stima di 315 miliardi di euro).
Ma il cablaggio del cervello è incredibilmente complesso: decine di miliardi di neuroni connessi attraverso cento miliardi di sinapsi. Il biologo Jeff Lichtman, di Harvard, stima che per mappare quello di topo occorrerebbero 200mila settimane: i dati sarebbero "più numerosi di tutti i dati su internet, più grandi di tutti i dati di tutte le biblioteche del mondo," e aggiunge che "al momento, la memoria dei computer non è assolutamente all’altezza del compito". E qui entra in campo la neuroinformatica e il tema di condividere i dati, progetto in qualche modo simile al progetto genoma umano, il colossale sforzo che ha portato alla lettura del nostro Dna.
«Una sfida importante è la difficoltà di ottenere l’accesso ai dati disponibili in tutti i "passaggi cerebrali", dalla chimica cellulare a quella comportamentale» spiega Sten Grillner, neurofisiologo del Karolinka Institute. I campi della neuroscienza infatti sono tanti e diversi, ciascuno ha un suo particolare approccio e insieme di tecniche. «E tutti potenzialmente importanti per risalire alle funzioni del cervello. La sfida sarà dunque quella di facilitare l’interazione tra i diversi campi delle neuroscienze con lo sviluppo di banche dati open neuroinformatiche», conclude.
Ma come potrebbe essere una mappa completa del cervello umano? Dipende. Se si ha la curiosità di conoscerne la struttura, l’ideale sarebbe la versione cerebrale di Google Earth che parte dalla nostra corteccia e si ingrandisce fino a visualizzare il numero di neuroni. Ma il neuropsichiatra potrebbe essere più interessato a un "timelapse" che mostra come il disturbo bipolare evolve dalla nascita al primo sintomo e come la terapia al litio ne interrompe il processo. Ma potrebbe non essere abbastanza per chi invece vuole conoscere la funzione di ogni centimetro di materia grigia...
Al momento però non esiste uno sforzo comune per integrare tutte queste mappe in una sola. Secondo il neurobiologo Charles Wilson le difficoltà sono tecnologiche e possono essere superate: "si inizia con una mappa grezza e via via si aggiungono informazioni sempre più raffinate". E nel difficile compito di leggere il cervello, va detto che le tecniche a scansione come la Rmf, in realtà, misurano le variazioni regionali di flusso sanguigno e non i neuroni. Per il neuroscienziato Molly Crockett dell’University College London "anche se molto utili, siamo ancora lontani da poter leggere la mente attraverso una scansione. L’equivoco di fondo è che l’imaging cerebrale possa essere in grado di leggere cosa un individuo sta pensando e sentendo".
Ma quando i dati delle aree cerebrali attivate vengono decodificati possono essere molto preziosi. E per alcuni, le scansioni cerebrali sono uno strumento utile per comprendere la coscienza. Come riporta uno studio appena pubblicato su Lancet, la Pet promette di distinguere tra i pazienti in grave stato vegetativo, quelli che hanno le potenzialità di riprendere conoscenza. «L’esame - sostiene Steven Laureys dell’Università di Liegi, autore dello studio - è in grado di "fotografare" i processi cognitivi, invisibili ai test oggi a disposizione». I progressi nell’imaging cerebrale solleva però questioni sulla privacy, mentre la ricerca sulle demenze apre a dibattiti sul consenso informato. «La cautela è d’obbligo – ha detto Amy Gutmann, presidente della Commissione di bioetica statunitense –. Per esempio, la stimolazione cerebrale profonda è una terapia invasiva che mostra risultati promettenti nel Parkinson. Ma anche la lobotomia, in passato, veniva considerata una terapia promettente...» In America, quindi, sotto questo profilo si sono portati avanti emettendo una serie di raccomandazioni etiche.
Anche perché il fronte di chi teme che esista una visione neurocentrica della mente è già sul piede di guerra. Per esempio la psichiatra Sally Satel e lo psicologo clinico Scott O. Lilienfeld, nel loro libro "Brainwashed", descrivono l’inaffidabilità delle tecniche di scansione e sottolineano che il nostro cervello è il prodotto della nostra esperienza tanto quanto dei nostri geni. Mentre per il neurologo e scrittore Robert Burton qualsiasi applicazione impiegata per spiegare la mente sarà sempre una visione personale, non un fatto scientifico. Ma troppo neuoscetticismo rischia di "buttare via il bambino con l’acqua sporca". I nostri segreti al momento sono al sicuro. Anche se non sappiamo ancora per quanto.
Francesca Cerati