Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 06 Domenica calendario

DAL LAVORO A WALL STREET: I 5 SEGRETI DELLA RIPRESA USA

Cosa ci mostrerà l’economia americana in questo 2014, ormai al sesto anno di ripresa, il volto della paura, dopo l’inattesa contrazione del 2,9% per il primo trimestre? O quello della grande euforia di giovedì scorso, con l’annuncio della creazione di 288.000 occupati in giugno, di un tasso di disoccupazione al 6,1% e con l’indice Dow Jones sopra quota 17mila? Come sempre la verità sta nel mezzo. Di certo, alla fine del lungo weekend del 4 luglio, fra operatori e banchieri c’è più sobrietà di quanta ce ne fosse nei giorni scorsi. Ne emerge un quadro a macchia di leopardo che mette sempre al centro dell’equazione Janet Yellen e la Federal Reserve.
Non c’è dubbio che la Fed, con le aggressive politiche espansive, sia stata il motore principale di una ripresa più morbida rispetto ai ritmi del passato, ma che ha pur sempre prodotto un tasso di crescita medio dell’economia del 2,4% negli ultimi 5 anni e la creazione di oltre 9 milioni di posti di lavoro, un milione soltanto nella prima metà del 2014. Ma ora la Banca centrale dovrà decidere se e quando alzare i tassi: cosa succederà all’economia quando questo accadrà? La decisione potrebbe avvenire già nel corso del 2015, qualcuno dice all’inizio del 2015 dopo gli ultimi dati. La Fed resta dunque l’incognita principale dell’equazione. Le altre quattro grandi componenti che hanno consentito all’America di uscire dalla crisi sono: 1) un sistema bancario che si è rimesso in piedi rapidamente; 2) una borsa che ha corso al rialzo, con recuperi delle perdite della Grande Recessione e nuovi record che hanno trasmesso fiducia al risparmiatore americano; 3) una flessibilità dell’economia che consente aggiustamenti impossibili in Europa e 4) una grande autonomia nella gestione della politica fiscale laddove in Europa vi è la rigidità del tetto del 3% sui disavanzi pubblici e i nuovi vincoli del Fiscal Compact. La Fed dovrà ragionare sulla tenuta di queste quattro componenti quando si sarà materializzato l’aumento del costo del danaro. Ma cominciamo dalla Federal Reserve.
DISOCCUPAZIONE ED EXIT STRATEGY DELLA FED
Janet Yellen ha detto la settimana scorsa che non toccherà al rialzo i tassi per scongiurare il pericolo di una nuova bolla finanziaria. Si affiderà però ai dati economici: tenuta della crescita e interazione delle due componenti al centro della sua missione, disoccupazione e inflazione. Il tasso di inflazione si muove attorno al 2,1% su base annua, vicino dunque agli obiettivi della Fed. Il tasso di disoccupazione è sceso in giugno al 6,1%. Questo era il livello pronosticato dalla Fed per la fine dell’anno. Siamo dunque in anticipo di sei mesi. La Fed si è riservata margini di manovra (ricordate quando fece saltare il riferimento a un tasso di disoccupazione del 6,5% per aumentare i tassi?), ma c’è un limite: cosa farà la Yellen se alla fine dell’anno il tasso di disoccupazione sarà vicino al 5,5% e se l’inflazione sarà nella parte alta della forbice? Cosa succederà se aumenteranno i tassi a breve?
BORSA DAL BOOM ALLA CORREZIONE?
La Borsa, ad esempio, inizierà a scontare un rialzo dei tassi diversi mesi prima che accada, e quando la stretta arriverà potrà pesare sul settore immobiliare, uno dei motori della ripresa. Finora gli operatori e le banche si indebitano a costo zero, comprano bond al 2-2,5% che restano su quei livelli grazie alla forte domanda. Questo mantiene vivo il settore immobiliare: a questi tassi i mutui sono al 4% fisso per un trentennale. Ma se i tassi a breve saliranno, i rendimenti saliranno anche al 5% sui bond del Tesoro e il meccanismo che ha consentito alle banche (altra componente chiave) di rafforzare i propri bilanci rischierà di saltare con una conseguenza restrittiva sul credito alle imprese, soprattutto alle piccole e medie imprese che hanno contribuito più di tutti alla creazione di nuovi posti di lavoro in questi ultimi anni. La Borsa a quel punto sarà a rischio di una correzione. Molti fondi di private equity scontano questo scenario e stanno cercando di ridurre le loro posizioni: «Questo non è un momento buono per comprare, i prezzi sono alti – spiega un gestore di private equity – È meglio collocare sul mercato le partecipazioni o venderne una parte a operatori strategici. È il momento di raccogliere fondi e di prepararsi al prossimo ciclo».
LA DOPPIA ARMA DELLA FLESSIBILITÀ
Per ciò che riguarda la flessibilità fiscale e più in generale dell’economia, non si prevede che dopo aver riportato il rapporto disavanzo Pil sotto il 4% (dopo punte del 10%) Washington sia pronta a procedere con politiche espansive, ma in caso di nuove difficoltà la leva sarà sempre disponibile. La componente di flessibilità dell’economia, quella sul lavoro soprattutto, per ora tiene: c’è molta innovazione tecnologica che viene assorbita dalle aziende in tempi rapidi. Sul fronte del lavoro, gli ultimi dati ci dicono che il 58% della nuova forza lavoro creata nel 2014 ha ottenuto salari superiori alla media nazionale di 24,45 dollari all’ora. Nel 2013 solo il 48% aveva avuto salari superiori. La chiave fondamentale perché la Fed possa organizzare un "atterraggio morbido" poggia su una buona ripresa dei consumi. Con nuovi flussi di occupati e con salari mediamente più alti rispetto agli anni della crisi molti ritengono che la domanda si riprenderà bene. È su questo che punta la Fed per fare un giro di boa in materia di tassi. Qualità dell’occupazione, aumento dei salari (con relativo impatto sull’inflazione) e consumi saranno le tre variabili chiave che seguirà la Fed della Yellen. Anche perché due terzi dell’economia americana poggia sui consumi. Perderli per colpa di un aumento dei tassi troppo precipitoso sarebbe deleterio per la Banca Centrale.
Mario Platero