Francesco Bei, la Repubblica 6/7/2014, 6 luglio 2014
IL COUNTDOWN DI PALAZZO CHIGI: ENTRO DIECI GIORNI VIA LIBERA AL NUOVO SENATO
ROMA.
«Al prossimo Consiglio europeo, se vogliamo avere delle chance, ci devo arrivare con qualcosa in mano». Il 16 luglio si avvicina e Matteo Renzi, in vista del summit Ue, ha deciso di prendere in mano personalmente la partita della riforma costituzionale. «Diciamo che sta sul pezzo », scherza il fido Delrio. È l’ultimo miglio e serve una decisa accelerazione per non presentarsi a mani vuote davanti ai partner europei. Il premier ha lanciato infatti a Strasburgo una sfida frontale ai rigoristi, ma per difendersi «dall’assalto dei tecnocrati » ora più che mai ha bisogno di fatti.
Per questo la riforma del Senato e del Titolo V, foss’anche solo la prima lettura a palazzo Madama, è diventata così importante. Un altro rinvio farebbe perdere credibilità a Renzi e rischierebbe di far franare tutto la strategia impostata a palazzo Chigi. Il rispetto della promessa fatta in queste settimane a Berlino e a Bruxelles — riforme in casa in cambio di flessibilità in Europa — sarebbe messo in dubbio. E per l’Italia inizierebbe un cammino ancora più in salita verso la prossima legge di stabilità.
Ai piani alti del governo, al di là dell’energia e dell’ottimismo professati in pubblico da Renzi, non si nascondono infatti le difficoltà. «Rischiamo — ammette un ministro — di avere davanti un periodo ancora lungo in cui il tasso di disoccupazione non si muove. E la ripresa, malgrado tutte le cose che abbiamo messo in campo, ancora non si vede». Anzi, le prospettive sembrano persino peggiorare. È come se il paziente, pur sottoposto alle scosse del defibrillatore, non mostrasse segni vitali. Con questa gelata si attende con preoccupazione il dato Istat sul prodotto interno lordo del secondo semestre. Dipenderà da quel numero se il governo sarà costretto o meno a far uscire una nota di aggiornamento al Def. Passaggio preliminare verso una manovra correttiva dei conti che deprimerebbe ulteriormente i consumi. Riguardo alla manovra e alla sua entità al ministero dell’Economia non aprono bocca. Ci si affida alla speranza che i numeri finalmente cambino. Dal no assoluto alla manovra si è passati comunque a un più prudente «speriamo che non ce ne sia bisogno».
Per questo è così «vitale» che almeno le riforme costituzionali, quelle a costo zero, non si fermino. Domani Renzi lo ripeterà con toni ultimativi ai parlamentari del Pd, in una sorta di chiamata finale prima dell’arrivo in aula della riforma. «Ci sono le condizioni per riuscire», afferma la vicesegretaria Debora Serracchiani. Ma è chiaro che il passaggio è stretto e molto dipende dalla possibile saldatura tra i ribelli del Pd e l’ala dei falchi forzisti. Il premier attribuisce le ultime resistenze ai «nostalgici della vecchia guardia», ormai minoranza della minoranza. Ed è deciso a mettere sul piatto anche l’ipotesi di una segreteria allargata se dovesse servire. In caso di collaborazione il partito si aprirà a una maggiore collegialità, ma se le ostilità in Senato dovessero continuare la risposta sarebbe una chiusura totale. Tra blandizie e minacce Renzi si prepara dunque ad affrontare una settimana calda in cui si intrecceranno scadenze europee e scadenze italiane. Martedì Pier Carlo Padoan presiederà il suo primo vertice Ecofin, lo stesso giorno Junker esporrà davanti agli eurodeputati cosa intende fare, se sarà nominato al vertice della Commissione, per riempire di contenuti la parola «flessibilità». «Per noi — spiega la dem Simona Bonafé — quella parola vale 10 miliardi di euro». Poi mercoledì il disegno di legge Boschi dovrebbe uscire dalla commissione e arrivare in aula.
La nomina di Junker è un altro tassello della battaglia tra il fronte del rigore e quello della crescita. «Fu lui — ricorda infatti il sottosegretario Graziano Delrio — a proporre per primo, insieme a Tremonti, gli eurobond. La sua impostazione è quella lì, federalista... speriamo che nel frattempo non abbia cambiato idea». Il fatto che il prossimo presidente della Commissione sia un esponente dei popolari importa di meno. Le linee di frattura sono infatti trasversali, come si è visto dopo gli interventi anti-Renzi dei falchi Weber (capogruppo Ppe a Strasburgo) e Weidmann (presidente della Bundesbank). Nella lavagna di palazzo Chigi Merkel resta invece sul lato degli amici. Forse non è quel “Merkenzi” di cui scrive il Financial Times , ma la sintonia c’è ed è servita a rintuzzare i primi «assalti dei tecnocrati» a cui ha fatto riferimento ieri il premier. «Con l’arrivo di Renzi — insiste Serracchiani — è cambiato il campo di gioco. I rigoristi hanno capito che si è aperta una crepa, per questo si stanno accanendo in questo modo. Adesso sono loro in fibrillazione». E tuttavia, affinché questa «crepa» non si richiuda, per Renzi è necessario portare subito a casa qualche risultato visibile. La battaglia per il Senato è cominciata.
Francesco Bei, la Repubblica 6/7/2014